Cosa ci dicono le fiabe. La Petrosinella del Basile: la metafora dell’aborto, interpretazioni e simbologia
In questo nuovo viaggio per la rassegna Mondi possibili vi porto nel giardino di un’orca: è qui che, nella fiaba di Petrosinella, tutto ha avuto inizio. L’antenata della più celebre Raperonzolo (fratelli Grimm) la ritroviamo nella raccolta di fiabe napoletane Il racconto dei racconti di Giambattista Basile. Petrosinella deriva dal termine in lingua napoletana petrusino, in italiano prezzemolo. La versione di Italo Calvino in Fiabe italiane s’intitolerà Prezzemolina.

Nel giardino incantato dell’orca sorgeva un orto di prezzemolo. Osservandolo dalla sua finestra, Pascadozia, la vicina incinta, non riusciva a resistere alla tentazione di mangiarlo. Ossessionata dalla pianta, la donna ritornava tutti i giorni, furtivamente, a tirarne un ciuffetto, per paura che
«la faccia del bambino venisse seminata di prezzemolo» (Basile). Ma Pascadozia nutriva, nel profondo, un timore più grande. Non la possibile comparsa della voglia di prezzemolo: era il concepimento in sé (e da sé) che la spaventava.

L’aborto dal mondo antico alla contemporaneità

Dover crescere un bambino limita, per certi versi, la libertà di una donna. Scandisce il ritmo, le pause della sua giornata. Ne deforma il corpo. Non per tutte, oggi come un tempo, avere un bambino è frutto di una scelta voluta. Non tutte lo desiderano e mentre in Argentina si festeggiava, lo scorso gennaio, la legalizzazione dell’aborto, in Polonia, al contrario, si ritornava al Medioevo: una legge ha vietato l’aborto tranne che nei casi di incesto, stupro o pericolo di vita della madre. Ad ogni modo, però, proprio al Medioevo e all’Età Antica risalgono le invenzioni di rimedi naturali anticoncezionali ed abortivi. Ce lo racconta John M. Riddle nel 1992 nel volume Contraception and Abortion from the Ancient World to the Renaissance. Qual era dunque il ruolo del prezzemolo?
Antichi rimedi popolari: metodi contraccettivi ed erbe abortive
Riddle ha riscontrato l’uso della pianta di prezzemolo per antiche ricette di erbe abortive ed emmenagoghe (che provocano la mestruazione) riportate nei trattati di medicina egizia e siriana. Nell’XI secolo, quando la provincia di Salerno era un vivace alveare di scoperte e discussioni in ambito medico, vi soggiornò per circa 2 anni Costantino l’Africano. In On degree, un trattato adattato da quest’ultimo, le erbe impiegate per le pozioni abortive erano state suddivise per gradi di intensità, in base all’efficacia. Il 4° grado era il più alto: vi figuravano il prezzemolo (Parsley), la cannuccia di palude (Reed), la cipolla e la ruta comune (Rue). Chi l’avrebbe mai detto? La cipolla. La ruta comune è un’erba selvatica dai fiori giallini. Recentemente sono stati effettuati una serie di esperimenti sui topi da laboratorio, al fine di valutare gli effetti di alcuni degli antichi rimedi popolari (Riddle).


Dunque il collegamento fra la pianta di prezzemolo e la sparizione della fanciulla, che verrà rinchiusa in una torre, non è un caso. Nella Rapunzel dei Grimm erano i raperonzoli, invece, ad accendere le voglie della madre. Il raperonzolo è un’erba spontanea utilizzata anche in cucina: se ne cuociono le foglie dal sapore piccantino, si preparano infusi e decotti o se ne utilizza la radice. In entrambe le fiabe la bambina viene venduta, ancor prima di nascere, per una pianta. Diventa proprietà altrui.
Detti popolari e ritornelli
Il petrusino napoletano (petrusinu in Calabria e Puglia, pirrusinu in Sicilia o pedrusèmi in sardo) è una pianta protagonista di divertenti proverbi, uno dei quali ne sottolinea la pervasività sul territorio e nell’uso in ambito culinario. Petrusino ogni minestra, letteralmente «prezzemolo in ogni minestra» è un detto che allude ad una personalità invadente, riferendosi alle caratteristiche della pianta onnipresente del prezzemolo. Per estensione, Petrosinella è colei che è presente. Colei che invade. Ecco che, per preservare il proprio spazio vitale, Pascadozia la fa sparire.
Quando l’orca aveva scoperto la donna, adirandosi per il furto le aveva intimato: «Tu hai finito il cottimo della vita, se non prometti di darmi la creatura che farai». In altre parole, il prezzo da pagare per le gioie ed il frutto della gravidanza è il «cottimo della vita», la vita stessa, che assume qui il valore di una serie di libertà. In primis, l’indipendenza fisica ed emotiva. La vita è possibile, quindi, solo dando via la nuova creatura.
«Ninna nanna ninna oh, questo bimbo a chi lo do» era il ritornello che ci cantavano i nostri genitori per farci addormentare. Ma anziché un invito a dormire, sembra piuttosto un monito «Guarda che posso darti via in qualsiasi momento, se non ti comporti bene. E non è che tu abbia delle opzioni chissà quanto allettanti. Abbiamo il lupo nero, la befana dalle scarpe rotte, l’orca cattiva etc». Questo canto, dolce e minaccioso al tempo stesso, enfatizza da un lato il legame madre-figlio, padre-figlio, padre-figlia o madre-figlia. Il genitore, infatti, onnipotente agli occhi del suo bambino, è colui che lo salverebbe tanto dalle grinfie del lupo quanto dalla brutta befanaccia, archetipo materno negativo. Al contrario, tra Petrosinella e l’orca sua aguzzina non vi era alcun ostacolo. La sorte della bambina era stata già decisa.

La tomba di Petrosinella: la torre senza porte e senza scale
Una volta rapita o meglio «afferrata per i capelli» dall’orca, la fanciulla è come scomparsa dalla faccia della terra. Si affaccia da un’unica finestrella, da cui fa scendere i capelli lunghi. Ed è così che ce la ricordiamo. Questa finestra sul mondo costituisce il solo modo in cui Petrosinella esiste. Noi esistiamo in funzione di un altro, che ci vede e ci riconosce. Se la torre senza porte e senza scale rimanda all’inesistenza di una vita e di movimento – l’ascesa della crescita, la discesa della regressione – la finestra strabordante dei capelli biondi rimanda ad una presenza vitale.

Un principe di passaggio avvista le sue trecce dorate, che come
«due bandiere d’oro» lo chiamano «ad arruolarsi nell’esercito di amore» (Basile). Così una figura altra vede e riconosce la fanciulla, che, tornata ad esistere, lotta per la propria autodeterminazione. Nella versione basiliana è lei che permette al ragazzo di arrampicarsi, fornendogli i capelli come corda. Ed è lei che lancia una per una le tre ghiande magiche per sconfiggere l’orca e riconquistare la libertà e la vita.

Capelli e cultura: simboli, stereotipi e mitologia
Nel Dizionario dei simboli (J. Chevalier, A. Gheerbrant) il cuoio capelluto non solo è fonte di attrazione, ma qui risiede anche la forza vitale dell’individuo. L’orca se ne appropria, afferrando Petrosinella per i capelli. Gliela ruba. Nella trasposizione cinematografica Barbie Raperonzolo (2002), quando Gothel le taglia i capelli, Raperonzolo perde temporaneamente il suo potere magico, rimandando al mito di Sansone e le sette trecce. Nei capelli scorrono potere e virtù (da cui il culto delle reliquie del santo, tra cui la ciocca di capelli). La trama dell’Universo è tracciata nei capelli sciolti di Shiva ed i capelli sciolti e scompigliati incarnavano la forza minacciosa delle Gorgoni nella mitologia greca. Ed ancora, il cuoio capelluto simboleggia, per alcune culture, il prolungamento dell’anima. A Sumatra, un’isola dell’Indonesia, non vengono tagliati i capelli ai bambini, per paura che essi possano perderla.
In altri luoghi del mondo, il primo taglio di capelli è vissuto come un evento cruciale, una delle prime espressioni estetiche del sé all’interno di una collettività regolata da convenzioni. Le prime volte è la madre che accompagna il bambino e ne fa le veci, concordando forme e modalità del taglio col parrucchiere. E quest’ultimo, anziché 2 cm di capelli, ne taglia puntualmente il doppio. Probabilmente Pascadozia, che di Petrosinella proprio non ne voleva sapere, dal parrucchiere non ce l’aveva mai portata. Così Petrosinella, che la sua anima se la portava sempre dietro, avvolta nelle trecce ingombranti, è dovuta stare attenta il doppio affinché non gliela calpestassero.

Articolo di Alessia Casciaro