Alzi la mano chi non ha mai lasciato un libro a metà o alle prime pagine. O chi lo abbia finito saltando delle pagine. Io l’ho fatto. I “puristi della lettura” obietterebbero che i libri vanno letti dall’inizio alla fine senza saltare le pagine, ma io e tutti coloro che sono colpevoli di non aver finito un libro ci appelliamo ai diritti del lettore.
Dieci diritti del lettore
- Il diritto di non leggere
- Il diritto di saltare le pagine
- Il diritto di non finire il libro
- Il diritto di rileggere
- Il diritto di leggere qualsiasi cosa
- Il diritto al bovarismo
- Il diritto di leggere ovunque
- Il diritto di spizzicare
- Il diritto di leggere ad alta voce
- Il diritto di tacere
Nascono dalla penna di Daniel Pennac contestualmente alla scrittura di Come un romanzo (1992). Si tratta di un saggio – in Italia viene pubblicato da Feltrinelli nel 1993 – in cui l’autore affronta il problema della lettura tra i giovani. Il linguaggio è leggero e ironico, ma questo non significa che lo sia anche il contenuto. Anzi.
Il dovere di leggere
Pennac inizia il saggio con queste parole: “Il verbo leggere non sopporta l’imperativo” e prosegue immaginando un adolescente che, seduto alla scrivania, è alle prese con un libro che deve leggere, mentre i genitori guardano la televisione al piano di sotto, convinti che anche se al figlio il libro non piace lo leggerà perché sa di doverlo fare. Nel frattempo il ragazzo si è addormentato con la testa sul libro.
C’è stato però un tempo in cui quel ragazzo non associava la lettura ad un dovere, ad un compito assegnato dal professore: “il mese prossimo facciamo la verifica sul libro”. Pennac spiega con ironia che lo studente conta le pagine, calcola quante ne deve leggere al giorno per terminarlo entro la scadenza e finisce per vederlo come un oggetto pesante, pesantissimo,
di quelli che ti tirano verso il basso. E invece i libri ti devono portare verso l’alto.
Il piacere di ascoltare
Prima che la lettura diventasse un dovere e prima ancora di imparare a leggere, c’è stato qualcuno che ha letto per noi. Pennac evoca delle immagini che ci riportano all’infanzia, a quando le fiabe ci venivano raccontate dagli adulti: alcuni di loro andavano a braccio e le inventavano, con il rischio di non ricordarsi i dettagli da una sera all’altra – che il bambino invece ricordava benissimo -, altri preferivano leggere. Il mondo delle fiabe e la fantasia non hanno confini e da piccoli speravamo che la fiaba della buonanotte non terminasse mai, di certo non contavamo le pagine che mancavano alla parola “fine”. In altre parole, Pennac ci sta dicendo che siamo stati lettori prima ancora di imparare a leggere.
La prima cosa che il bambino impara non è l’atto, ma il gesto.
Il dovere di leggere ci fa dimenticare il gesto, sommerso da una valanga di libri composti da centinaia di pagine, ma in realtà non l’abbiamo perso davvero. È come andare in bicicletta: una volta che hai imparato non te lo dimentichi più.
La riscoperta della lettura
Nel saggio, Pennac immagina un professore di un istituto superiore francese che si ritrova davanti ad una classe di circa trentacinque studenti, di cui nessuno ama leggere. Il professore sceglie di non prendere la strada del dovere, preferendo risvegliare nei ragazzi il gesto della lettura attraverso l’ascolto. Come prima lettura sceglie Il Profumo di Patrick Süskind e inizia a leggere senza nessun cappello introduttivo. Piano piano gli studenti si incuriosiscono e senza accorgersene scoprono che leggere è interessante, al punto che alcuni finiscono il romanzo in autonomia. Dopo Süskind leggono Stevenson, Calvino, Márquez e tanti altri autori, sviluppando un’inaspettata – per loro, ma non per il professore – capacità di analisi critica.
Eppure, non è successo niente di straordinario. Il merito del professore è quasi nullo in tutta la vicenda. Il fatto è che il piacere di leggere era vicinissimo, imprigionato in quelle soffitte adolescenti da una paura segreta: la paura (molto molto antica) di non capire.
La facoltà di scegliere
Il saggio di Pennac non vuole essere un’opera morale che divide i professori che stimolano gli studenti da quelli che si limitano ad assegnare i libri e a pianificare l’interrogazione. Né divide le persone a cui piace leggere da coloro a cui non piace. Difatti, non esistono doveri, ma diritti del lettore e nessuno stabilisce che ci deve essere una legge che regoli la lettura. Al contrario, il primo punto afferma addirittura che abbiamo il diritto di non leggere. L’importante è che sia una scelta consapevole, ovvero chi non legge non lo fa perché, come gli studenti dell’istituto francese, ha paura di non capire, ma perché sa di avere il diritto di non leggere.
Dato che non esistono solo il bianco e il nero – chi legge e chi non legge – esiste una zona grigia nella quale si trovano gli altri nove punti. Sono diritti godibili da chi legge scegliendo di farlo a modo proprio e a seconda del libro che si trova davanti: è noioso? Applicare il punto due e il punto tre. È stato appassionante? Applicare il punto numero quattro. E così via.
Ad ogni lettore e ad ogni libro il proprio diritto perché l’importante non è applicarli tutti, ma sapere che esistono e possiamo farvi appello anche se non vogliamo finire un libro. Soprattutto perché non vogliamo finirlo.
Articolo di Alice Faravelli