Anche quest’anno, la maggior parte degli uomini ha regalato ad una donna un rametto di mimosa. Un gesto semplice… Così tanto semplice che sarebbe un peccato scoprire che potrebbe trattarsi di un automatismo. A cosa serve regalare e accettare rametti di mimosa se continuiamo a vivere disparità sociali, politiche ed economiche?
Probabilmente trascuriamo questo particolare, ma basta immaginare i due estremi del problema. Una donna che riceve il rametto di mimosa da un uomo e contemporaneamente lo stesso uomo, magari suo datore di lavoro, le assegna uno stipendio inferiore del 15% rispetto a quello di un collega uomo, che svolge esattamente le sue stesse mansioni. Un paradosso, no?
Quello del gender gap è da anni un tema ricorrente ma, anche in questo caso, la consapevolezza non è sinonimo di risoluzione del problema.
Dunque, ritornando alla mimosa, è regalata tenendo conto di questo o è diventato un gesto dettato dall’abitudine? Non è difficile interpretarlo come abitudine se piuttosto di celebrare la Giornata Internazionale della donna si festeggia la festa della donna, ma la verità è che siamo lontani anni luce dal poter “festeggiare”, viste le continue lotte per conquistare diritti che, in quanto esseri umani, dovrebbero appartenerci.
Potremmo interpretarla come una richiesta di scuse
Scusate se per i restanti 364 giorni dell’anno siete retribuite meno rispetto ad un uomo. A riguardo, possiamo sfatare un mito: la differenza salariale c’è in tutti i settori e in tutti i tipi di occupazione. Più la qualifica professionale è alta, più il divario si estende.
FONTE: ISTAT
Scusate se siete di facile bersaglio al momento del licenziamento. Scusate se siete vittime di giudizi e pregiudizi; se siete condannate a subire l’ira dell’uomo che amate; se siete sopraffatte dai doveri e defraudate dei vostri diritti; scoraggiate e umiliate con battute di pessimo gusto perché ritenute non “adatte” per certe attività.
Allo stesso modo, le donne che celebrano questo giorno dovrebbero riflettere. In questa occasione, più di ogni altra volta, dovrebbero sentire l’incantevole peso di essere donne. Pensate alla vostra storia, a quella delle donne polacche che hanno protestato per l’entrata in vigore della legge che vieta l’aborto, o alle 99.000 donne licenziate durante la pandemia (contro i 2.000 uomini). Oppure, pensate a Yvette Samnick: donna camerunese, in Italia da sei anni, che da altrettanti anni è vittima di razzismo e violenza verbale e domestica. Pensate a come la maggior parte di voi, di noi, abbia ingiustamente interiorizzato canoni di bellezza imposti; a quanti giudizi o consigli (non richiesti) contraddittori abbiamo sentito:
“ È una facile” – “ Le donne sono complicate”
“ Sei più bella acqua e sapone” – “ Perché non ti trucchi?”
“ Lavori troppo” – “Dovresti essere più indipendente”
In conclusione, evitiamo di stupirci davanti ad un rametto di mimosa donato dagli stessi uomini che compiaciuti dicono: “Avete voluto la parità di genere? Allora…”. É vero, l’abbiamo voluta, abbiamo voluto qualcosa che sarebbe dovuta essere insita nella società, e nonostante ciò a quale prezzo ci è stata (in parte) concessa? Non accettiamo acriticamente neanche le tradizioni, figuriamoci delle regole imposte da una società ancora velatamente maschilista. Riserveremo il nostro entusiasmo per giorni migliori, nei quali avremo la certezza di aver spazzato via ogni tipo di discriminazione di genere.