La rappresentazione delle donne nei media ha un enorme impatto sulla loro percezione nella vita reale. I film rispecchiano la visione dei loro sceneggiatori, produttori, registi, che controllano ogni aspetto della loro realizzazione. Per questo, la parità di genere dietro le quinte di un film è di vitale importanza: dando più spazio alle donne nei ruoli dietro la macchina da presa, si potrà dare più spazio alla loro rappresentazione davanti ad essa. L’industria cinematografica è, da sempre, a preponderanza maschile. Il gender gap al suo interno è un problema per molto (troppo) tempo passato in sordina. Negli ultimi anni tuttavia, qualcosa sembra essersi mosso.
Un po’ di numeri
Nell’ottobre del 2017, il New York Times pubblicò un’inchiesta contro Harvey Weinstein, uno dei più potenti produttori cinematografici americani, accusandolo di avere alle spalle trent’anni di molestie sessuali. Quel momento fu un po’ la scossa che ci voleva per puntare i riflettori non più sul set, ma sulla condizione delle donne lavoratrici all’interno di un’industria profondamente condizionata da disuguaglianze di genere.
Queste sono evidenti soprattutto quando si parla di posizioni di rilievo dietro le quinte della produzione di un film. Il Celluloid Ceiling Report, che annualmente inquadra con dati e statistiche l’occupazione delle donne nell’industria cinematografica hollywoodiana, chiarisce la situazione. Nel 2020, le donne erano solamente il 23% di tutti i registi, scrittori, produttori, produttori esecutivi, tecnici e direttori della fotografia dei 250 film con più incassi dell’anno. La percentuale scende ancora se si tiene conto del solo ruolo di regista: solo il 18% erano donne.
I numeri non cambiano di molto quando si considera la situazione europea: uno studio mostra come le registe rappresentino in media solo il 19,6 % del totale, con risultati estremamente variabili da stato a stato. In Italia, ad esempio, la percentuale scende al 10 %.

Inclusività di genere nei festival hollywoodiani
Anche se la parità di genere nell’industria cinematografica sembra lontana, negli ultimi anni qualcosa sembra cambiare. Per quanto basse, infatti, le percentuali appena discusse rappresentano dei picchi storici, e qualcosa sembra muoversi anche sul fronte dei festival e dei riconoscimenti.
Ne è un esempio l’ultima cerimonia dei Golden Globes, tenutasi il 28 febbraio 2021. Per la prima volta nella storia del festival, tre donne concorrevano nella categoria dedicata al miglior regista: Chloé Zhao per “Nomadland”, Emerald Fennell per “Promising Young Woman” e Regina King per “One Night in Miami”. In 78 anni di vita della cerimonia, solo otto donne sono state nominate per questa categoria. Zhao, vincendo, è diventata la prima donna di origini asiatiche e la seconda donna nella storia del festival ad aver ottenuto il premio come miglior regista. L’unica altra donna a vincerlo fu Barbra Streisand nel 1984 con “Yentl”.

Il visualizzatore di gender gap proposto dal Guardian, mostra come anche nel caso della cerimonia degli Oscar la situazione non cambi molto: in tutta la storia degli Academy Awards solamente 5 donne sono state nominate come miglior regista. La prima fu Lina Wertmüller nel 1977, seguita da Jane Campion nel 1994, Sofia Coppola nel 2004, Kahtryn Bigelow nel 2010 e Greta Gerwig nel 2018. Bigelow, per ora, rimane l’unica donna ad aver vinto il premio per il suo film sulla guerra in Iraq “The Hurt Locker”. Chissà se quest’anno quel numero raddoppierà.
Inclusività di genere nei festival internazionali
I problemi di inclusione all’interno dei festival non riguardano purtroppo solo quelli americani. Uno studio della Time’s Up Foundation ha analizzato le competizioni dei 5 maggiori festival di cinema a livello internazionale (Berlino, Cannes, Sundance, Toronto e Venezia) nel periodo 2017-2019. I risultati non sono molto distanti dalle percentuali viste in precedenza: in totale, solo il 25 % dei registi in gara erano donne.
Le disuguaglianze non riguardano solo i concorrenti, ma anche le persone in carica di selezionarli: il 70 % dei presidenti, dei direttori artistici e dei programmatori di questi cinque festival erano uomini.
In cammino verso la parità
L’importanza di queste rassegne nella lotta alle disuguaglianze di genere è però vitale, in quanto influenzano enormemente il mondo dell’intrattenimento e la visione da parte del grande pubblico. È per questo che molti festival si stanno impegnando a raggiungere la parità di genere in tutti gli ambiti appena menzionati. Uno dei movimenti con questo scopo è il 50/50 by 2020, cui hanno aderito alcuni dei più importanti festival di cinema internazionali. L’impegno ha avuto nel complesso risultati positivi, ma migliorabili: nel corso dello scorso anno, alcuni festival (tra cui Berlino, Göteborg, Torino) sono riusciti a rispettare gli obiettivi, altri in parte (tra cui Venezia), ma la maggior parte si sta ancora impegnando a raggiungerli.
We just need to keep going
Qualche progresso è quindi stato fatto, e la via da seguire sembra essere sempre più definita. Tuttavia, il fatto di sentir parlare di una maggiore quantità di film a conduzione femminile non deve far pensare che l’obiettivo sia stato raggiunto: dopotutto, come si è visto, i numeri e le percentuali sono lenti a cambiare. Come affermato da Gloria Steinem, co-fondatrice insieme a Jane Fonda e Robin Morgan del Women’s Media Center, “we just need to keep going”.
Articolo di Arianna Urgesi