Su 113 edizioni e 117 vincitori, solamente sedici donne hanno vinto il premio Nobel per la Letteratura: una di loro è la poetessa polacca Wislawa Szymborska.

Nel 1996, Wislawa Szymborska (1923-2012) viene insignita del premio “per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d’umana realtà.” Mentre in Polonia e in Europa era discretamente famosa – le sue poesie venivano tradotte già negli anni Cinquanta in molte lingue europee – nel panorama italiano era quasi del tutto assente, se non per qualche volumetto.
Wislawa Szymborska in Italia
In Italia il grande successo arriva ufficialmente nel 1996, anche se la prima edizione delle sue poesie, ormai fuori commercio, è del 1993. Si tratta di La fiera dei miracoli, pubblicata nella collana Strenne Franci della casa editrice Scheiwiller Libri. Il fondatore Vanni Scheiwiller, erede della tradizione editoriale del padre Giovanni e della casa editrice All’Insegna del Pesce d’Oro, è stato un editore geniale. Ha riconosciuto il talento dei più famosi autori italiani e stranieri, tra cui Elio Vittorini, Alda Merini, Ezra Pound e Seamus Heaney.
Dal 1996 le edizioni italiane della poesia della Szymborska si sono moltiplicate, inseguendo l’onda della popolarità dovuta all’interesse suscitato con l’assegnazione del premio Nobel.
Il prestigio di un premio
Prima di questo riconoscimento, la Szymborska ha vinto altri premi in ambito letterario e culturale, come il premio letterario della città di Cracovia (1954), il premio Goethe (1991) e il premio Herder (1995). Si tratta di premi legati a realtà nazionali – il Goethe è tedesco e l’Herder è austriaco – mentre il Nobel è un’onorificenza di valore mondiale. Su questo c’è da riflettere: cosa rende un autore “famoso”? Quali criteri consacrano lui o lei nel panorama della letteratura internazionale? Quando si aprono i cancelli dell’Olimpo degli scrittori? È davvero il premio Nobel la chiave d’accesso?
Il poeta moderno
Nel discorso tenuto in occasione del conferimento del Nobel, la Szymborska ammette di avere delle difficoltà nel parlare della poesia e del ruolo del poeta. Dice:
[…] quando i poeti non possono evitare di definire la propria occupazione, preferiscono usare il generico “scrittore” o nominano l’altra professione svolta. […] Credo che i filosofi si trovino in una situazione migliore, perché possono abbellire il loro mestiere con qualche titolo. Professore di filosofia – suona molto più serio.
Ma non ci sono professori di poesia. Questo significherebbe che si tratta d’una occupazione che richiede studi specialistici, esami sostenuti con regolarità, elaborati teorici arricchiti di bibliografia e note, e infine diplomi ricevuti con solennità. E questo a sua volta vorrebbe dire che non è sufficiente riempire pagine di versi ricercati per diventare poeta. L’elemento fondamentale è un qualche certificato con un timbro ufficiale.
Poco dopo aggiunge che i poeti non sanno spiegare cosa sia l’ispirazione. Secondo lei, “qualunque cosa sia, nasce da un incessante ‘non so’.”
Quotidiana semplicità
Nelle sue poesie, Wislawa Szymborska cerca risposte a questo “non so”, ma senza affanno, senza la pretesa di arrivare ad una conclusione. L’importante non è tanto la risposta, quanto il chiedersi che cosa non si sappia. Sempre nel discorso per la cerimonia di conferimento del Nobel spiega che se Isaac Newton o Marie Curie non avessero detto “non so”, l’uno si sarebbe limitato a raccogliere le mele da terra per mangiarle e l’altra sarebbe stata una un’insegnante di chimica “in una scuola privata per signorine di buona famiglia”.
Cosa si deduce da questo? Il premio Nobel, così come gli altri riconoscimenti, ha senza dubbio una forte influenza a livello internazionale. È innegabile che il successo della Szymborska sia aumentato esponenzialmente dopo il 1996 in quei Paesi dove non era ancora molto conosciuta, come l’Italia. Ma era, ed è, una poetessa – per quanto lei stessa ammetta di avere difficoltà a definire questa categoria – anche prima di vincere il Nobel. Alcuni suoi versi sembrano tradurre proprio questa idea: nella poesia Domande a me stessa contenuta nell’omonima raccolta (1954) scrive
Il bicchiere era sul tavolo
e nessuno lo ha notato,
finché non è caduto
per un gesto distratto.
Un lavoro silenzioso
Fino a questo momento si è scritto di come la Szymborska sia stata consacrata a poetessa in ambito internazionale. È ora d’obbligo una piccola precisazione: se è vero che in Italia ha iniziato ad essere conosciuta dal pubblico sull’onda di questo successo, è da sottolineare che la possibilità di conoscerla davvero, e quindi di leggere le sue poesie, si deve alla traduzione.
Se un’opera non viene tradotta in una lingua, per quanto si possa parlare della notorietà di chi l’ha scritta, non si può leggere. Non esiste. Sicuramente varrebbe la pena leggere le poesie della Szymborska in lingua originale, ma nell’attesa di trovare il coraggio di imparare il polacco, cerchiamo anche noi i nostri “non so” nelle parole di Wislawa Szymborska.
Articolo di Alice Faravelli