We are who we are
Può capitare di trovarsi a sfogliare un settimanale che, nell’ultimo numero del 2020, fa un resoconto dei top e dei flop dell’anno. Può capitare che nell’ambito delle serie TV il titolo di flop venga assegnato a una serie che non hai mai sentito nominare. Inoltre, può capitare che un paio di giorni dopo, alla disperata ricerca di qualcosa da fare in zona rossa, ti imbatta su Sky On Demand proprio in quella serie. E allora che fai, non la guardi?
Il contesto: un passato che è quasi presente
È quello che mi è successo con We are who we are, miniserie targata Sky Atlantic e HBO diretta da Luca Guadagnino. Gli otto episodi, di durata variabile ma in media di un’ora ciascuno, sono ambientati nel 2016 (in maniera assolutamente non casuale anno della vittoria presidenziale di Trump) nella base militare americana di Chioggia, un microcosmo statunitense in pieno Veneto. La storia però non si concentra tanto sui militari, quanto sui loro figli. I protagonisti infatti sono Fraser, figlio del nuovo Colonnello della base, e Caitlin, figlia di uno degli Ufficiali. No spoiler: non vi racconto nulla di più sulle loro famiglie, non voglio rovinarvi la sorpresa.

Temi importanti e narrazioni anomale
Fraser e Caitlin sono adolescenti, e in quanto tali si ritrovano ad aver a che fare con il complesso mondo degli adulti. A volte non ne capiscono le regole, altre volte provano a fregarsene, altre ancora a riscriverle. Ma se vi aspettate la classica serie sulle turbe adolescenziali siete totalmente fuori strada. Non si tratta solo di crescita, primi amori e rapporti conflittuali con gli amici, ma si scende in un terreno molto più tortuoso. Politica, omosessualità, identità di genere, dinamiche familiari complesse, accettazione di se stessi e anche della morte: questo è We are who we are.
Il modo in cui Guadagnino sceglie di affrontare questi temi non è totalmente convenzionale. All’inizio sembra di seguire Fraser, che sia lui il nostro punto di riferimento nella storia. Poi le cose cambiano, forse è Caitlin che seguiamo. Ma poi, perché non seguirli entrambi? E allora si comincia a cercare di capirli. Il ritmo, che a volte rallenta fino ad avere dei fermo immagine poco comuni nelle serie TV, i colori, anche il modo in cui si è scelto di inserire il titolo della serie: tutto aiuta la narrazione. Tutto è narrazione. E noi cerchiamo di stargli dietro.

Le storie dei giovani e quelle degli adulti, Italia e Stati Uniti, regole ferree e libertà: tutto è contrastante, esattamente come lo sono gli stessi personaggi. Caitlin e Fraser hanno personalità sfaccettate che non sono ancora riusciti a comprendere e, soprattutto, ad accettare del tutto. Eppure, anche se è così difficile capire se stessi, riescono ad intravedere l’uno nell’altra un sostegno e un’accettazione incondizionati. Non si giudicano mai, neanche quando non sono d’accordo con le scelte dell’altro, neanche quando non si capiscono (e vi assicuro che a volte non li capirete nemmeno voi).
Da guardare perché…
Devo fare un mea culpa: all’inizio ho pensato che fosse davvero un flop. Guardando i primi minuti mi sono ritrovata a pensare che il critico del settimanale non avesse poi tutti torti, ma episodio dopo episodio qualcosa è cambiato. Sia chiaro: non è una serie da guardare distrattamente. Anche mettendomi d’impegno a volte mi sono ritrovata a domandarmi perché i personaggi stessero facendo proprio quelle azioni in quel momento. Risposta? Ancora non ne ho idea. Ma se tutte le nostre azioni fossero totalmente razionali, sensate e ragionate, a maggior ragione da adolescenti, allora dove sarebbe il bello?
Arrivati alla fine di questa recensione con il minor numero possibile di spoiler, che forse vi ha confuso le idee più di quanto ve le abbia chiarite, una cosa chiara c’è: è una serie da vedere. Lo è per almeno tre motivi. Primo: è complessa, esattamente come la realtà. Secondo: c’è il liceo, ci sono le feste, le gite e i litigi con i genitori ma sono tutto fuorché banali. Terzo: ha una lezione chiara, palese fin dal titolo. Fraser e Caitlin la imparano da adolescenti; io personalmente ci faccio ancora i conti: siamo chi siamo.