Annie, Lucy e Jamaica: la ricerca dell’identità post-coloniale
Ottobre 2020: pochi giorni prima che vengano annunciati i vincitori dei premi Nobel, Björn Wiman indica Jamaica Kincaid come una delle favorite. Wiman, responsabile culturale del quotidiano svedese Dagens Nyheter, afferma che l’assegnazione del premio alla Kincaid rappresenterebbe una saggia scelta sia a livello ideologico che politico. Inoltre, sarebbe in linea con il lascito di Alfred Nobel, secondo cui il premio deve essere assegnato alla persona che in ambito letterario ha prodotto l’opera più rilevante.
L’Accademia svedese assegna il premio Nobel per la Letteratura alla poetessa Louise Glück per “la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende universale l’esistenza individuale”. Sorge quindi spontaneo chiedersi come mai Jamaica Kincaid fosse una delle papabili vincitrici.
Chi è Jamaica Kincaid

Jamaica Kincaid, pseudonimo di Elaine Cynthia Potter Richardson, nasce a Saint John’s, capitale di Antigua e Barbuda, nel 1949. Nel 1965 si trasferisce a New York per lavorare come ragazza alla pari. Vince una borsa di studio per il Franconia College nel New Hampshire e nel 1973 inizia a scrivere articoli per la rivista Ingenue firmandosi Jamaica Kincaid. L’anno successivo intraprende una collaborazione con il New Yorker.
Educazione e colonialismo
Antigua e Barbuda ha ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito nel 1981, anche se continua a far parte del Commonwealth delle nazioni. La presenza del Regno Unito come potenza colonizzatrice influenza anche l’educazione scolastica. Kincaid frequenta scuole di stampo britannico dove le materie vengono impartite in inglese e, soprattutto, dal punto di vista della nazione colonizzatrice. La storia di Antigua le viene insegnata come la storia di una colonia e la vita stessa degli antiguo-barbudani è plasmata sul modello inglese. Nel 1991 Kincaid scrive:
Quando ho visto l’Inghilterra per la prima volta, ero una bambina seduta al suo banco. Avevo già familiarità con la sua grandiosità. […] Sul barattolo di cacao c’era scritto il nome della società, l’anno in cui era stata fondata e le parole “Made in England”. Quelle parole erano scritte anche sulla scatola dell’avena. […] La colazione era “Made in England”, così come quasi tutto ciò che ci circondava, eccetto il mare, il cielo e l’aria che respiravamo.
Annie e Lucy

Annie e Lucy, protagoniste di Annie John (1985) e Lucy (1990), vivono un’esperienza simile a quella della Kincaid: Annie cresce in un Paese caraibico coloniale e Lucy diventa adulta in un Paese straniero. Nonostante da un punto di vista cronologico Lucy inizi esattamente nel punto in cui Annie John finisce, le opere non sono l’una la continuazione dell’altra. Inoltre, non sono delle autobiografie, anche se sono scritte in prima persona: l’obiettivo della Kincaid non è raccontare l’esperienza individuale, bensì trovare in questa esperienza un’identità culturale.
Attraverso Annie John e Lucy, la Kincaid cerca di scendere a patti con il proprio passato. Secondo la narrativa post-coloniale e la “politica geografica dell’identità”, ciò presuppone la riconciliazione con la propria cultura e il ritorno alla terra natia. In altre parole, tornare a casa dopo l’alienante esperienza dell’esilio significa tornare alle origini e ad un iniziale status di felicità.
La retorica del ritorno
Una domanda sorge spontanea: chi stabilisce che il ritorno in patria sia necessario per un percorso culturale soddisfacente? Attraverso le protagoniste femminili dei due romanzi, la Kincaid mette in dubbio la cosiddetta “esperienza di genere” – nel caso di Lucy, una donna che lascia la sua terra per vivere da sola negli Stati Uniti.

La storia di Lucy è una storia di continuo conflitto con la propria identità culturale, di rabbia verso la propria terra e la propria famiglia e di negoziazione con il passato. Lucy non solo rifiuta il ritorno come punto finale della ricerca dell’identità, ma sceglie di non conformarsi alla categorizzazione della donna come cardine del nucleo famigliare. Analogamente a Lucy, che afferma “preferirei morire piuttosto che diventare l’eco di qualcuno”, Kincaid risponde così a Leslie Grays nell’ottobre del 1990 in occasione di un’intervista per The New York Times:
Quando andai via di casa, non volevo conoscere nessun altro antiguano. Ovviamente pensavo spesso ad Antigua, ma non conoscevo nessun antiguano e non conoscevo nessuno delle Indie Occidentali. Volevo solo essere qualcos’altro. Non volevo essere importante, volevo solamente non provare quella sensazione costante di soffocamento.
L’identità culturale
Le parole, il linguaggio e i temi che Jamaica Kincaid affronta nelle sue opere ci invitano a riflettere. Cos’è l’identità culturale? Chi o cosa stabilisce i fattori che definiscono una comunità? Gli individui? La storia? La società? E se l’identità culturale di una ex-colonia ancora risente dell’influenza coloniale, si può davvero parlare di autentica identità culturale?
A più di trent’anni dalla pubblicazione di Annie John e Lucy, le parole di Jamaica Kincaid sono ancora attuali e seguono la “direzione ideale” indicata da Alfred Nobel. La rilevanza delle opere i cui autori vengono insigniti del premio Nobel non è necessariamente dovuta all’aver apportato il massimo beneficio all’umanità: più intuitivamente, ne viene riconosciuta l’integrità e la voce poetica.
Articolo di Alice Faravelli