Come i mondi possibili delle fiabe parlano di noi: la bella addormentata nel bosco
Nel primo articolo della serie abbiamo parlato di mondi fantastici e di come, in un modo o in un altro, essi racchiudano simboli e problematiche dell’uomo contemporaneo. Oggi ci addentriamo nel mondo possibile de La bella addormentata nel bosco. Tenetevi forte, perché alla fine di questo viaggio capirete di non averne saputo molto in tutti questi anni. No, la colpa non è solo della Disney.

La bella addormentata è un classico molto conosciuto in occidente, ma non sono stati i fratelli Grimm i primi a trascriverla. In Europa, la prima versione redatta della fiaba s’intitola Sole, Luna e Talia e risale al XVII secolo. Nella bella Napoli barocca un letterato, Giambattista Basile, pubblicava un libro di racconti popolari dal titolo Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille. Chi lo conosce alzi la mano!

GIAMBATTISTA BASILE, Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille (1634) – Fonte: Wikiwand
Non proprio pe peccerille: le sventure della bella addormentata de Lo cunto de li cunti
La scomparsa della fanciulla è il tema chiave, presente in tutte le versioni ed anticipato fino dall’inizio da una maledizione. Sapete pure che vissero tutti felici e contenti. Però… la conoscete la versione più antica della storia?
La bella addormentata del Basile ne passa di cotte e di crude. Non si sa quanti anni avesse, ma «ormai grandicella» cade in un sonno profondo. Re e regina, addolorati, la rinchiudono in un palazzo in campagna, credendola morta. Un bel giorno un re «che andava a caccia» passa di là e vi entra dentro, per recuperare il suo falcone, rimastovi intrappolato. E pensate un poco, trovandovi seduta una fanciulla apparentemente senza vita, abusa di lei. Mentre dormiva come morta. Lo leggereste a vostro figlio, in una sera d’inverno, seduti al lato del suo letto?

Passati nove mesi dall’accaduto Talia – che è ancora una bella addormentata – partorisce due gemelli, Sole e Luna. Mannò, non sto scherzando! Vengono tirati su da due fate, ma spesso non trovano il seno della madre per allattare. Così, succhiandole per sbaglio un dito, le tirano via la lisca di lino che le si era conficcata sotto un’unghia. Allora si sveglia! Quando il re ritorna a trovarla (indovinate per quale motivo) ritrova la fanciulla in compagnia della stirpe inattesa.
Un istinto primordiale: la difesa del territorio
Talia e le sue creature divengono care al re. Egli se ne innamora, tanto che sua moglie, la regina, si accorge del tradimento. Questa storia non è nuova. Superate le prime sventure, dunque, la bella Talia verrà perseguitata da una donna in preda ad una «febbre causata da ben altro che da un colpo di sole»: la gelosia. Basile descrive così questo sentimento accecante. Talia scamperà per un pelo la morte, così come i suoi bambini. Questi ultimi, addirittura, rischiano di essere presentati al padre per cena. Ben cotti, appunto. Tranquilli, la storia è a lieto fine. Non certo per la povera regina ingannata dal marito. Spezziamo una lancia a suo favore: i moti interni che la pervadono non sono altro che l’espressione di una primitiva lotta per la sopravvivenza.

Quattro secoli di riscritture: dal Perrault a The Walt Disney Company
La versione francese è decisamente più raffinata ed elegante. Raggiunta la sala del castello dove riposa la fanciulla, il principe cade preda di Amore non appena la vede. Ma neppure La bella addormentata del Perrault avrà vita facile, detestata questa volta dalla suocera. Un’orchessa che, oltre a tentare di ammazzarla, vorrà mangiare per cena i nipotini, rigorosamente serviti in salsa Robert.

La Rosaspina dei fratelli Grimm è la bella addormentata del XIX secolo. L’adattamento cinematografico Disney La bella addormentata nel bosco (1959) sarà ispirato principalmente alla versione tedesca.

Fiabe e simbologia: la madre terribile ed altri archetipi negativi del femminile ne La bella addormentata
Evitiamo, però, di mettere troppa carne al fuoco. Facciamo un salto indietro. C’erano una volta un re e una regina che avevano ormai perduto la speranza di avere un figlio. Le avevano tentate tutte: voti, pellegrinaggi, fonti miracolose, ma niente. Iniziano così le versioni francese e tedesca.
Finalmente un giorno nasce una bambina e a corte si decide di dare una mega festa reale. Per l’occasione vengono invitate tutte le fate del regno… Tranne una. O perché si dispone di un coperto in meno rispetto al loro numero; o perché ci si è totalmente dimenticati di lei. La fata ferita cova rancore e diventa l’antagonista della storia. La sua, comunque, è la reazione istintiva e furibonda di un’esclusa. L’unica a non essere stata invitata al banchetto.

Se gli incipit delle versioni francese e tedesca presentano un’assonanza a livello di contenuti, in Sole, Luna e Talia non ci sono i temi della nascita miracolosa e dell’esclusione della fata. Semplicemente, Talia è predestinata, dicono gli indovini, a correre un gran pericolo a causa di una misteriosa «lisca di lino». Molti anni più tardi, mentre sta affacciata alla finestra vede passare una «vecchia» che fila. Incuriosita, la fanciulla tira il filo e conficcatasi la lisca nell’unghia, cade come morta. La parola “strega” qui non è neppure menzionata. Le vere antagoniste di Talia sono al massimo le Moire – le dee greche del destino – e la donna che la perseguiterà.

La figura della strega cattiva viene introdotta quindi in un secondo tempo. Essa rappresenta, in termini junghiani, l’archetipo della madre terribile.
Nella parte negativa l’archetipo materno può significare «qualcosa di segreto, interiore, buio; l’abisso, il mondo della morte, qualcosa che divora, seduce, avvelena, che è terrificante e ineluttabile come il fato»
Anna Michelini Tocci riprende Jung inBipolarità dell’archetipo della strega nelle fiabe
Da 360 a 180°: le figure femminili tra un C’era una volta e il C‘è (adesso!) del mondo contemporaneo
Allora, perché il mondo altro de La bella addormentata ha a che fare con noi? Semplice: perché ci mostra lati propri della figura femminile troppo scioccanti da mandare giù. I suoi lati oscuri o se vogliamo, ciò che Jung chiamerebbe l’ombra. Tra i ruoli femminili che costellano le varie versioni, ve ne sono molte negative (ad esclusione della protagonista, eroina passiva e delle fate buone). La strega cattiva, la suocera-orchessa e la consorte gelosa rappresentano archetipi femminili negativi.
In occidente, l’ombra è quasi più accecante del sole. A guardarla in faccia fa effetto Medusa. Le fondamenta dello stereotipo femminile contemporaneo risalgono alla diffusione del cristianesimo. L’archetipo femminile occidentale sta oggi alla Vergine Maria, clemente, pia e dolce, come venti secoli fa stava alle divinità femminili greche e romane, gelose, vendicative e iraconde.

Per questo la donna, oggi, si vede spesso costretta a nascondere molto del proprio lato emozionale più profondo. I valori dell’archetipo femminile accettati e condivisi dalla società sono positivi. Servizievole e accomodante, la donna deve essere capace di cure ed affetto materno. L’altra parte, sconvolgente quindi inaccettabile, ricompare nelle fiabe. Tra le righe dell’inconscio collettivo, che è, in termini junghiani:
[…] un funzionamento della psiche inconscia, comune a tutti gli uomini.
Carl Gustav Jung, Problemi generali in psicoterapia (1929)
Per la natura, in primis, l’essere-donna gravita tra onori ed oneri della procreazione. In molti luoghi nel mondo, il duemilaventi è solo una rima alternata di zeri e di due. Il divorzio è illegale; l’adulterio lavato con il sangue e le pietre.
La negazione dell’ombra nella società occidentale: esempi concreti.
Questa non accettazione viene allo scoperto quando ci scandalizziamo di fronte a emozioni non conformi alla morale convenzionale. Forte è, per esempio, l’astio che le donne nutrono tra loro stesse. Spesso si additano quelle fra coloro che non consacrano la propria vita al focolare domestico. Per questo sono delle sconsiderate. La declinazione spontanea della donna, per la società, è quella di figura materna e compagna premurosa. Madre buona, moglie attenta.

Pure grande è lo scandalo quando una madre abbandona un figlio. Non giudicare è arduo. Non ci riusciamo a prenderlo, quel lungo breve respiro, prima di sentenziare. L’essere femminile è fatto per accogliere e sopportare. Per saper amare bene. Non le è permesso provare sentimenti connessi con la rabbia e l’aggressività. Una parte esuberante del mondo emozionale femminile è stata dunque negata. Oppure data per matta. Una madre, per esempio, si deve vergognare di certe disavventure e pensieri istintivi. Li nasconde. Fino a sentirsi, a volte, sola al mondo. Ci pensavo leggendo Concita De Gregorio in Una madre lo sa: Tutte le ombre dell’amore perfetto.
Tornare indietro mentre si va avanti: rivisitare le fiabe alla luce dell’ombra
L’ombra, quindi, sta dove non batte il sole. Per Jung l’inconscio collettivo è abitato dall’ombra. Per l’antica filosofia cinese la complementarietà di luci ed ombre è immortalata nello Ying e Yang, che ne ritrae simbolicamente l’amplesso. Scacciata via dagli strati superficiali della coscienza, essa si manifesta nelle fiabe. Coi suoi voli pindarici, si è presentata a noi belli addormentati nella nostra cameretta, quando mamma ce le leggeva, le storielle pe peccerille, come scriveva ironicamente Basile. Scommetto che a molti di voi, quelle storie, è già saltato in mente di rivisitarle. E allora, bienvenu… Attenti, però, a non perdervi nel bosco.
Articolo di Alessia Casciaro