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4 Dicembre 2020 / Editoriale

Pillole letterarie – Sguardo sull’epica del passato

Riflessioni tra passato e presente

Epica deriva da ‘èpos’, che in greco significa racconto. La funzione dell’epica, infatti, era quella di intrattenere il pubblico tramite la narrazione orale. È qui che la letteratura e la società europee affondano le sue radici.

Sin dalle scuole medie vengono studiati i contenuti di Iliade, Odissea ed Eneide. Le prime due sono opere risultanti da una lunga tradizione orale, incarnata a posteriori dalla figura del poeta cieco Omero; l’ultima, che ricalca da vicino gli insigni modelli greci, è stata scritta da Virgilio per celebrare la dinastia cui apparteneva l’imperatore romano Augusto.

Iliade e Odissea erano racconti inseriti nei grandi cicli epici dell’antichità, circa all’inizio del primo millennio a.C. Il pubblico che assisteva alle performances dei cantori chiedeva loro espressamente di recitare un racconto con l’accompagnamento della cetra: poteva essere il ciclo della guerra di Troia, quello dei ritorni dei guerrieri greci a seguito della conquista della città troiana, il ciclo tebano del re Edipo e molti altri. La tradizione ci ha restituito l’Iliade, parte del ciclo troiano, e l’Odissea, parte del ciclo dei nòstoi (ritorni).

Altra origine ha l’Eneide: sin da principio è stata messa per scritto, e racconta un mito rielaborato per dare lustro ad Augusto e alla casata giulio-claudia, che si richiama all’eroe Enea e alla dea Venere.

Quali sono le parole che inaugurano questi poemi?

Il primo verso dell’Iliade è: Canta, o diva, l’ira del Pelide Achille; la parola in apertura è ira, Μῆνιν (menin), in caso accusativo.

Il primo verso dell’Odissea è: Cantami, o Musa, l’uomo multiforme; qui ad aprire è ‘uomo’, Ἄνδρα (andra), sempre in caso accusativo.

Il primo verso dell’Eneide è: Canto le armi e l’uomo; il testo latino pone all’inizio armi, o meglio strumenti, e uomo, Arma virumque, in accusativo.

La riflessione che ne consegue è: “ira”, “uomo” sono l’esordio della nostra cultura, ripreso e cambiato poi secoli dopo in “armi (strumenti di difesa) e uomo”.

La dimensione umana, dunque. In prima posizione si trovano l’uomo e i suoi sentimenti – in questo caso negativi, come l’ira; poi, i suoi strumenti. “Arma” è un sostantivo inizialmente neutro che successivamente si estremizza a livello di significato.

Gli eventi di oggi, come i miti di allora, dimostrano che l’essere umano nella sostanza non è mutato. E la lettura di alcuni passi di questi poemi aiuta tutti noi a tenere ben presente quel senso di appartenenza che lega inevitabilmente ad un medesimo destino. Terenzio diceva:

Homo sum, humani nihil a me alienum puto. Sono un essere umano, perciò considero tutto ciò che riguarda l’uomo come personale.

Articolo di Camilla Zucchi

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