Oggi parliamo di un argomento spinoso: il femminismo mediatico.
Cos’è il femminismo?
La diffusione del pensiero femminista ha sicuramente beneficiato dell’affermazione delle piattaforme digitali nella nostra vita quotidiana. Vorrei però ricordare la definizione da dizionario (Treccani) di questo movimento.
Movimento di rivendicazione dei diritti delle donne, le cui prime manifestazioni sono da ricercare nel tardo illuminismo e nella rivoluzione francese; nato per raggiungere la completa emancipazione della donna sul piano economico (ammissione a tutte le occupazioni), giuridico (piena uguaglianza di diritti civili) e politico (ammissione all’elettorato e all’eleggibilità), auspica un mutamento radicale della società e del rapporto uomo-donna attraverso la liberazione sessuale e l’abolizione dei ruoli tradizionalmente attribuiti alle donne.
È proprio sui social network, tuttavia, che ho notato un’ondata di femministe paladine del politically correct pronte a tutto pur di ricordare che loro, in quanto donne, sono più discriminate di altre categorie. Il nemico numero uno sembra essere dichiaratamente “l’uomo bianco cis-gender”. Le mie riflessioni sulla questione si sono rinforzate quando è scoppiato il caso Crepaldi.
Gli attacchi sui social
Circa un mese fa Marco Crepaldi è stato attaccato su Twitter e Instagram per alcune storie che aveva postato sul suo profilo in merito a un post secondo cui, tra le altre cose, nascere maschio bianco cis-gender sarebbe un privilegio. Crepaldi ha contestato questa affermazione perché non ci sono evidenze scientifiche secondo cui un maschio bianco etero abbia una condizione psicologica (o, più generalmente, di benessere psicofisico) migliore rispetto a una donna.
Una ragazza gli ha risposto privatamente spiegandogli che il significato del post da lui criticato è che se nasci maschio, bianco ed etero, non sarai mai oppresso, denigrato o ucciso per questi motivi. La ragazza, però, manca il punto di Crepaldi: avere queste caratteristiche oggigiorno non è una garanzia, anzi, può essere un danno, in quanto costantemente colpevolizzata (in toto) da alcune femministe.

La pericolosità dell’odio generalizzato
Vi sarà sicuramente capitato di assistere a momenti in cui vengono attaccati i maschi come intera categoria per azioni svolte da altri uomini. Una donna viene uccisa? La colpa è dell’assassino, ma se gli uomini non protestano attivamente sono in parte colpevoli. Quando però una moglie uccide il marito, è colpa del patriarcato. Su Telegram ci sono gruppi in cui gli uomini si scambiano materiale pornografico delle loro ex/fidanzate/figlie? Tutti gli uomini sono dei porci – e se non protestano attivamente sono in parte colpevoli.
È assurdo reputarsi femminista e battersi per la parità dei sessi per poi deresponsabilizzare l’intera categoria di cui si fa parte e incolpare quella maschile nella sua interezza per atti commessi da pochi. Così facendo si arriva all’odio, a una rabbia generalizzata contro un nemico che molto spesso nemmeno esiste, anzi, starebbe dalla nostra parte molto volentieri.

Cosa manca al femminismo oggi?
Il femminismo forse non è ancora riuscito a farsi valere abbastanza in Italia perché è molto politically correct: per quanto siano belle le grafiche body positive, l’attenzione alle questioni di genere, i discorsi sulla libertà sessuale e di costume, ecc. ci sono eventi come quello di Crepaldi (purtroppo, un altro caso di vero e proprio shitstorm) che non aiutano un movimento così importante a innovarsi sempre. Molto spesso, chi c’è dietro a queste grafiche sgargianti promuove solamente un femminismo mediatico, lontano dal femminismo storico. Quest’ultimo, infatti, progredisce lottando nella vita reale, non a colpi di stories sulle smagliature o screditando i maschi.
I danni di questo femminismo mediatico sono molteplici. Seguire su Instagram qualche profilo colorato e allegro che parla dei problemi delle donne, per alcune persone, è una strada facile. È vero: spesso troviamo contenuti su cui possiamo confrontarci in chat insieme ai nostri amici, tuttavia questo fenomeno può essere deleterio. Prendere alcuni guru dei social come punto di riferimento è dannoso, perché una moltitudine di persone rischia di formare il proprio pensiero in base a quello dell’influencer in questione, senza cioè sviluppare un proprio pensiero critico. Accade a volte, infatti, che la dottrina degli influencer diventi legge: è semplice da capire, ribadita con parole forti, appoggiata da altre personalità… e non si può contravvenire. I loro slogan diventano gli slogan, ed eventuali dissensi vengono repressi con la solita frase: la colpa è del patriarcato.

Molti degli insulti giunti a Crepaldi arrivavano proprio da femministe mediatiche, che lui ha definito “nazi-femministe” (fanatiche, verbalmente violente ed estremiste). Tra i commenti in questione, mi permetto di segnalare: “ok maschio bianco etero privilegiato, ora piangi un po’ più forte, dai“; “fai di tutto per sentirti oppresso e quando ti insultiamo ti lamenti? Un po’ di coerenza. Ora piegati e leccami la suola delle scarpe, grazie” (il tutto condito da emoji arcobaleno); “quando ti prenderanno a bastonate sarà sempre troppo tardi“; “che non si stupisca quando gli daremo fuoco alla casa“. E non sono mancati gli auguri di morte. La cosa grave è che tra le femministe più in vista al momento non c’è stato quasi nessun accenno di condanna nei confronti di queste compagne. Come ha fatto notare Rick Dufer su Twitter:
I movimenti femministi non hanno fatto nulla per ripulirsi da tutta questa merda

Penso sia sbagliato augurare la morte a qualcuno o riempirlo di insulti, sempre. Spero che queste stesse donne si fermino a riflettere, capiscano che è inutile fare a gara a chi ha più o meno privilegi. Essere maschi bianchi etero non è per forza una fortuna, soprattutto in un mondo in cui queste dinamiche pericolose si fanno sempre più forti.
Il femminismo è utile anche agli uomini per combattere gli stereotipi di genere, ma come si può sperare che loro vogliano combattere accanto a noi quando accadono questi fatti spiacevoli? L’intero movimento rischia di perdere credibilità: spetta a tutti noi il compito di colpevolizzare le “nazi-femministe” quando sbagliano, perché queste dinamiche soffocano il dialogo e il confronto reciproco. Le battaglie su cui ci dobbiamo concentrare sono altre.