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10 Luglio 2020 / Biografie

Focus on… Gino Bartali

“L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”

Eccellere nello sport non è semplice. Ci vuole una buona dose di abilità naturali, ma anche passione, determinazione, competitività e forza d’animo: qualità che distinguono uno sportivo da un campione. Ma non è scontato che i campioni nello sport siano tali anche nella vita. I valori che lo sport porta con sé devono essere accompagnati da valori personali, dal riconoscimento di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. E soprattutto dalla volontà di lottare per ciò che si ritiene davvero importante. Coniugare tutto questo è ancora meno semplice. Ma quando accade, il risultato è una vita dalle mille sfaccettature, una vita dal valore inestimabile. Una vita come quella di Gino Bartali.

Giovane e tenace

Gino Bartali nacque il 18 luglio del 1914 a Ponte a Ema, in Toscana. La sua era una famiglia umile, e proprio l’umiltà delle origini caratterizzò Gino per tutta la vita, anche dopo il raggiungimento del successo. Da giovanissimo, a tredici anni, cominciò a coltivare la sua prima grande passione: il ciclismo. Una passione che divenne talmente forte da trattare la sua bici come una persona di famiglia: la portava con sé in camera e addirittura la lavava nella vasca da bagno di casa, con buona pace della moglie non proprio favorevole alle macchie di olio.

fonte: giannibertoli.it

In famiglia la professione di corridore all’inizio non era vista di buon occhio. Quando si conosce la difficoltà di mettere il piatto in tavola, una carriera del genere, che soprattutto nei primi periodi non garantisce sicurezza economica, è un rischio che non sempre si è pronti a correre. Eppure Gino sembrò fin da subito consapevole delle proprie potenzialità e andò avanti senza farsi fermare dai dubbi paterni.

La sua esperienza con le gare non cominciò proprio nel migliore dei modi. Nel 1931 convinse il padre a lasciarlo partecipare ad una gara per ragazzi dai 14 ai 16 anni in un paese vicino al suo. Si presentò alla gara e vinse senza troppe difficoltà. Fin qui tutto bene, ma appena si seppe che aveva appena “finito i 16 anni”, esattamente ventiquattro ore prima della gara, fu squalificato. Quella però fu per lui la sua prima vera gara, nonché la sua prima vera vittoria: aveva la prova di potercela fare.

Nel 1935, comunque, dopo quattro anni di gare dilettantistiche durante le quali aveva già manifestato le sue incredibili capacità, passò fra i professionisti. Lo stesso anno conobbe Adriana, che da lì a cinque anni sarebbe diventata sua moglie e con la quale ebbe i tre figli Andrea, Luigi e Bianca.

L’anno della gioia e del dolore

Fu però il 1936 l’anno che lo consacrò ufficialmente fra i grandi, con la vittoria del suo primo Giro d’Italia. Ma la gioia di questo grande traguardo non durò a lungo. Solo una settimana dopo Giulio Bartali, fratello minore di Gino e anch’egli ciclista, fu investito durante una gara. Morì due giorni dopo. Giulio aveva seguito le orme del fratello, e come lui si era dovuto scontrare con la contrarietà del padre. Eppure proprio i primi successi di suo fratello gli avevano permesso di cominciare ad allenarsi e gareggiare. La morte di Giulio fu l’unico evento che fece dubitare Gino Bartali della sua scelta di vita. Non era facile salire di nuovo in sella alla sua bicicletta. Ma Gino non aveva semplicemente scelto il ciclismo: anche il ciclismo aveva scelto lui e tornò presto a correre e ad accumulare successi.

Una grande fede

Ad aiutarlo a superare questo e gli altri momenti dolorosi della sua vita fu la sua fede religiosa. Fervente cattolico, Bartali non cominciava mai una tappa senza partecipare prima ad una Messa. Ovunque si trovasse, cercava la Chiesa più vicina e partecipava alla prima celebrazione del mattino.

Quella per la religione era una vera e propria vocazione, tanto che nel 1937 prese l’abito di Terziario Carmelitano della Fraternità di San Paolino di Firenze. Si tratta di un ordine laico che vede chi ne fa parte impegnato ad aiutare la comunità, nonché a promuovere ideali quali la famiglia, la comunione e la fraternità.

fonte: carmeloveneto.it

Nel corso della sua vita, si fece sempre guidare dai valori del suo credo. Non dava importanza ai beni materiali, ai soldi e alla fama che aveva raggiunto. Aveva la continua volontà di fare del bene, sia nel piccolo di un consiglio ad un ammiratore che a livello molto più ampio, aiutando persone seriamente in difficoltà. Suo figlio Andrea, nel suo libro “Gino Bartali, mio papà“, riporta alcune frasi che il padre gli ripeteva.

Di fronte a Dio non valgono i soldi guadagnati, che non si portano nella vita eterna, né le medaglie che mi hanno attaccato sulle maglie sportive. Presso Nostro Signore valgono solo le medaglie che si attaccano sull’anima, quelle conquistate facendo opere buone.

Il contributo durante la Seconda Guerra Mondiale

Di opere buone Bartali ne fece tante, soprattutto in un contesto difficile come quello della guerra. La Seconda Guerra Mondiale scoppiò quando Gino era nel fiore delle sue capacità sportive, proprio nel momento in cui avrebbe potuto dare il meglio a livello agonistico. Una volta cancellate le gare, però, nulla gli impedì di dare comunque il meglio di sé. I valori in cui credeva lo ponevano in netta antitesi con il fascismo, al quale si era dimostrato contrario già prima dell’inizio della guerra. Nel 1938, infatti, dopo la sua prima vittoria al Tour de France, al posto del saluto fascista si fece il segno della croce. Un gesto che aveva un pieno significato politico.

Durante il conflitto mondiale, la sua vicinanza all’ambiente ecclesiastico favorì i contatti con gruppi di Resistenza nel centro Italia. Nel 1943 Bartali non esitò a mettersi in prima linea per aiutare gli ebrei perseguitati dal nazi-fascismo. Aveva il ruolo di staffetta, che svolgeva naturalmente in sella alla sua bici: portava documenti falsi per gli ebrei che avevano bisogno di un’identità che non li facesse riconoscere come tali. Fu fermato tante volte dai soldati ai posti di blocco, giustificando i suoi spostamenti con la necessità di allenarsi, anche se tutte le gare erano state bloccate. Per uno sportivo come lui, rispondeva, era un bisogno. La sua fama lo aiutò a passare indenne molti controlli, e fortunatamente a nessun soldato venne mai in mente di svitare la sua bicicletta, dove erano ben sistemati documenti che gli sarebbero costati la vita.

Essere famoso non solo gli fu d’aiuto con i nazi-fascisti, ma gli permise anche di dare un’ulteriore mano alla Resistenza. Si fermava spesso alla stazione di Terontola, snodo ferroviario molto importante all’epoca, attirando su di sé una gran folla di persone e distraendo quindi i soldati di guardia. Il caos creato era in realtà necessario ad antifascisti e partigiani per scendere dai treni senza essere visti e fermati, permettendogli di scappare via.

fonte: blogspot.com

Un bene silenzioso

Nessuno fra amici e familiari sapeva nulla delle vere e proprie imprese che Gino compiva; persino sua moglie era tenuta all’oscuro. Qualche idea, qualche sentore di ciò che stava accadendo Adriana lo aveva, ma la segretezza era un principio al quale Gino non poteva venir meno. Un principio che mantenne anche quando per aiutare mise a disposizione la sua proprietà. Nello specifico, la cantina di una casa che possedeva a fianco dell’abitazione in cui risiedeva con la sua famiglia. Lì fece nascondere un’intera famiglia di ebrei per oltre un anno, fornendo loro anche il necessario per sostentare. Anche stavolta, nessuno sapeva.

Le azioni di Gino Bartali sono rimaste a lungo un segreto. Solo molti anni dopo, quando i suoi figli erano già grandi, il bene che aveva fatto è uscito allo scoperto. Alcuni, anche fra i suoi cari, erano increduli. Tante domande gli sono state fatte da quel momento in avanti, ma la sua risposta era sempre la stessa.

Voglio essere ricordato per le mie imprese sportive, e non come eroe di guerra.

Le vittorie sportive

E proprio le imprese sportive, ovviamente, nella vita di Gino Bartali non mancarono. Nei suoi vent’anni di carriera da professionista – si ritirò infatti nel 1954 – vinse tre Giri d’Italia, due Tour de France, quattro Milano-Sanremo e tre Giri di Lombardia. Niente male, ancora di più considerando lo stop dovuto agli anni della guerra.

Dopo il ritiro, Bartali continuò la sua carriera come dirigente sportivo, anche se la sua partecipazione pubblica non fu mai eccessiva. Si impegnò a lungo nella promozione dei valori dello sport, e nella lotta di ciò che invece lo rovina, come doping e corruzione. Ogni occasione era buona per sottolineare che il ciclismo fatto solo per professione mancava di qualcosa, se non c’era la passione.

La rivalità con Coppi

Nel 1939, quando la carriera di Bartali era nel pieno della sua ascesa, un giovane corridore entrò nel professionismo: il suo nome era Fausto Coppi. Cinque anni più giovane di Gino, Fausto era una promessa del ciclismo e non passò molto prima che confermasse le attese. Lo stesso Bartali si era reso conto delle sue enormi potenzialità, tanto da volerlo come gregario. Naturalmente i paragoni fra i due non tardarono ad arrivare. Si creò una grande rivalità, in realtà più mediatica che personale. Negli anni successivi alla guerra, fu lo stesso Bartali a fare da gregario al più giovane Coppi, aiutandolo nella vittoria al Giro d’Italia e al Tour de France del 1949.

A discapito di quanto narrato dai mass media, fra Gino Bartali e Fausto Coppi si sviluppò una bella amicizia, basata sul rispetto reciproco e sulla stima delle rispettive capacità. Entrambi provavano un amore viscerale per la bicicletta, e questo era sufficiente. Il tutto è testimoniato da una serie di interviste e anche dalla partecipazione ad una puntata del Musichiere nel 1959, durante la quale manifestarono la loro ammirazione reciproca definendosi l’un l’altro il più grande campione del ciclismo. Ma la testimonianza cardine è la famosa foto che li ritrae passandosi una bottiglia d’acqua durante una tappa del Tour de France. Difficile dire chi la passasse a chi. In realtà, si tratta probabilmente del frutto di un momento preparato, ma in ogni caso ha segnato un’epoca e racconta la storia di un rapporto duraturo.

fonte: gazzettafannews.it

Bartali e la politica

Ma il ruolo di Gino Bartali nella storia del nostro paese va, se possibile, ancora oltre. Il 14 Luglio del 1948 il Segretario del Partito Comunista Palmiro Togliatti subì un attentato mentre usciva da Palazzo Montecitorio. Togliatti riuscì a sopravvivere alle ferite d’arma da fuoco, ma in brevissimo tempo si scatenarono moti e proteste che causarono vittime in diverse parti d’Italia.

Il giorno dopo Gino Bartali avrebbe dovuto correre una tappa del Tour de France. In quel frangente ricevette una telefonata dall’allora Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. I media parlarono di una conversazione durante la quale il Presidente chiese a Bartali una vittoria, per tentare di placare gli animi di un popolo in subbuglio. Non c’è certezza riguardo cosa effettivamente Bartali e De Gasperi si siano detti durante quella telefonata. Fatto sta, però, che il corridore riuscì in una vittoria quasi impossibile che, effettivamente, contribuì a costruire un sentimento di “italianità”.

Bartali era un idolo sportivo, e le lusinghe della politica non lo toccavano più di tanto. La sua posizione di fervido cattolico lo portava ad essere una preda molto ambita da parte della Democrazia Cristiana: avere fra i propri sostenitori un campione ammirato da tutti non poteva che far bene alla reputazione del partito. Eppure Gino non si iscrisse mai al partito; né alla DC né a nessun altro. Voleva che il suo nome fosse legato solo ed esclusivamente allo sport, e così fu.

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Un uomo dalle infinite sfaccettature

Voce roca, un modo di fare burbero che gli è valso il nomignolo Ginettaccio: Bartali è stato una di quelle persone di cui si può certo dire che l’apparenza inganna. Durante la sua lunga vita non ci sono stati fronzoli né eccessi, ma solo tanta voglia di dare il meglio di se stesso. Sempre e comunque. La sua pedalata era capace di sostenere anche le salite più dure e non l’ha mai tradito, né dentro né fuori dalle gare. Ha portato alti i suoi valori mettendo a rischio se stesso. Tutto ciò gli è valso il titolo di Giusto tra le nazioni, dato ai non ebrei che si sono prodigati per aiutare durante la Shoah, nonché la Medaglia d’oro al Merito Civile.

Gino Bartali è morto a Firenze il 5 maggio del 2000. Si è fatto seppellire con la sua veste di Terziario Carmelitano, rappresentazione di una fede pura che l’ha caratterizzato fino alla fine dei suoi giorni. Le azioni che ha compiuto durante la sua vita sono fonte di ispirazione, così come la frase che ripeteva sempre alla sua famiglia e a chiunque gli chiedesse delle imprese della guerra.

Il bene si fa, ma non si dice.

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Riguardo Martina Mastellone

Sono nata a Sorrento ma mi sento cittadina del mondo. Studio Mass media e Politica perché penso possa aiutarmi a diventare ciò che voglio. Sogno di fare della mia passione per la scrittura un lavoro a tempo pieno. Amo mangiare, scrivere e viaggiare. Spero di riuscire a realizzarmi come donna e a fare nella vita ciò che mi rende felice.

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