Il mondo scolastico è stato messo a dura prova dall’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus. Da marzo le scuole italiane di ogni ordine e grado hanno dovuto, con molta difficoltà, abbandonare la didattica nelle aule ed attrezzarsi per poter concludere, in ogni caso, l’anno didattico. Nonostante gli sforzi del corpo docenti e degli studenti siano stati ammirevoli, non sono mancate le criticità. Dopo questi mesi di didattica a distanza è tempo, dunque, di bilanci ma anche di riflessioni sul futuro.

Lo scorso aprile il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, rivolgendosi agli studenti italiani, ha definito la chiusura delle scuole come una “ferita” per l’intera comunità.
Credo che nessun altro pensiero possa esprimere meglio ciò che è successo. La chiusura delle scuole è stata una scelta obbligata e la didattica a distanza ne è stata la conseguenza diretta. Si è rivelata la soluzione più veloce, e anche l’unica attuabile, in questa situazione emergenziale. L’aspetto positivo della didattica a distanza è che ha permesso agli studenti di non perdere l’anno scolastico e, soprattutto, di mantenere un contatto con i propri docenti, aspetto fondamentale per la loro crescita non solo culturale, ma anche personale.
Tuttavia, tale modalità di insegnamento ha fatto emergere o riemergere grandi problematicità, che hanno aumentato le disuguaglianze tra gli studenti. Il primo e incolmabile problema è legato al fatto che la scuola è stata snaturata dell’aspetto che più la caratterizza: l’empatia e il dialogo costante tra studenti e docenti, alla base della trasmissione del sapere e della conoscenza. È venuto a mancare il contatto umano fondamentale all’interno di una comunità scolastica che cresce grazie al confronto diretto con gli alunni.
Le difficoltà per gli studenti
Le difficoltà maggiori hanno riguardato i bambini delle scuole primarie e secondarie di primo grado. Spesso, si sono venute a creare delle situazioni in cui gli studenti diventavano, semplicemente, degli atomi davanti ad uno schermo. A ciò va aggiunto il problema del digital divide. Secondo un report dell’Istat, pubblicato nell’aprile 2020, negli anni tra il 2018 e il 2019 circa il 33,8% delle famiglie italiane non possiede un computer o un tablet in casa. La situazione è ancora più grave nel Mezzogiorno, dove 4 famiglie su 10 non possiedono dei dispositivi tecnologici. L’analisi prosegue sostenendo che, spesso, nelle famiglie si ha solo un computer o tablet da condividere, o non si ha una buona connessione. In ultimo, il sovraffollamento delle abitazioni non garantisce delle condizioni idonee per poter seguire una lezione.
Nonostante gli aiuti del Ministero della Pubblica Istruzione, che ha stanziato nella prima fase dell’emergenza 85 milioni di euro, il divario tra i giovani è cresciuto sempre di più. La preoccupazione è che ciò possa portare ad un circolo vizioso in cui chi proviene da condizioni di vita più svantaggiate si ritroverà ad avere sempre minori possibilità di riscatto.

https://www.istat.it/it/files/2020/04/Spazi-casa-disponibilita-computer-ragazzi.pdf
Problemi specifici
Il ruolo delle famiglie, durante la didattica a distanza, è cresciuto moltissimo. In particolar modo per gli studenti più piccoli, la presenza di un genitore che li seguisse sia per collegarsi con il docente sia per svolgere i compiti si è rivelata fondamentale. Ma qui nasce un’altra difficoltà. I figli di cittadini stranieri, che non parlano l’italiano, non hanno potuto ricevere il supporto dei genitori, rischiando di perdere le competenze linguistiche di base.
In ultimo, il dibattito pubblico sorto intorno alle tematiche scolastiche ha posto scarsa attenzione ai ragazzi più fragili, cioè coloro che hanno delle disabilità. Questi ultimi, se a scuola venivano accompagnati nei loro percorsi di apprendimento da docenti di sostegno, che li seguivano e aiutavano passo dopo passo, si sono ritrovati da soli e fortemente penalizzati da tale didattica.
Le difficoltà per i docenti
La situazione non appare più rosea se si guarda al lato del corpo docenti. La digitalizzazione della scuola avviata nel 2007, anno in cui si cominciò a parlare di Piano Nazionale per la Scuola Digitale, non si è mai realizzata fino in fondo. A parte esempi quali l’introduzione di lavagne interattive multimediali e team digitali, l’utilizzo di tecnologie digitali a fini educativi è molto limitato. In molto scuole, poi, non si è provveduto alla corretta formazione dei docenti, che si sono trovati così impreparati al nuovo metodo di insegnamento.
Gli insegnanti italiani sono i più vecchi al mondo: stando alle stime dell’OCSE, il 59% ha più di cinquant’anni. Questo comporta un approccio didattico tradizionale con una totale assenza di rivisitazione dei modelli pedagogici. Le modalità didattiche sono ancora caratterizzate da lezioni frontali e non si è riusciti a capire fino in fondo le potenzialità che gli strumenti tecnologici possono offrire, se utilizzati come supporti didattici. I docenti sono stati costretti, però, dalla didattica di emergenza ad innovarsi e reinventare il loro modo di fare scuola.
Nonostante gli sforzi profusi dall’intera comunità scolastica, stando al rapporto “La scuola e i suoi esclusi”, pubblicato dal Censis nel maggio 2020, a livello nazionale, il 39,9% dei dirigenti segnala, a fine aprile, una “dispersione” nella Dad superiore al 5% degli studenti delle proprie scuole, suddivisi tra il 21,9% con una quota di studenti non raggiunti compresa tra il 5,1% e il 10% e il 18% che ha purtroppo lasciato finora sul campo più del 10% degli studenti.

https://images.agi.it/pdf/agi/agi/2020/06/09/093133436-fa073eb1-d556-446f-87d6-2eecb90b0d76.pdf
Prospettive per il futuro
A settembre, per la precisione il 14, le scuole dovrebbero riaprire nel rispetto delle misuri anti-contagio. La Ministra Lucia Azzolina sembra abbastanza convinta di ciò. Le linee guida, che hanno ricevuto l’avallo da regioni ed enti locali, prevedono il distanziamento sociale di almeno un metro, lo stanziamento di un miliardo di euro (volto ad implementare il personale docenti, il personale Ata e a migliorare l’edilizia scolastica), la suddivisione delle classi in piccoli gruppi di apprendimento, turni differenziati e orari scolastici modificabili dai singoli istituti, con possibilità di andare a scuola anche il sabato.
Sull’utilizzo delle mascherine in aula non ci sono indicazioni precise. Stando alle informazioni del Comitato tecnico scientifico, la scelta dipenderà dall’andamento epidemiologico a ridosso dell’apertura. La situazione sarà gestita da una cabina di regia nazionale che avrà l’onere di coordinare i vari tavoli regionali. Per questo motivo la Ministra Azzolina si recherà personalmente nelle regioni italiane, al fine di monitorare il procedere dei lavori.
Per poter organizzare gli edifici scolastici e renderli pienamente a norma è stato poi creato il cosiddetto “cruscotto”. Si tratta di un software volto a simulare la capienza nelle varie strutture. Già da qui si può stimare che un 15% di studenti sarebbero costretti a restare fuori dalle aule. Ma il Governo rassicura che saranno migliorati gli edifici esistenti e in caso di necessità anche quelli da tempo dismessi.
Misure carenti?
Le misure ministeriali hanno cercato di coniugare le necessità di sicurezza ai bisogni e al benessere sociale degli studenti. Tuttavia, non convincono fino in fondo, in particolare per l’assenza di un “piano B”, qualora la situazione sanitaria nel paese non dovesse permettere un rientro fisico nelle aule. Inoltre, l’attenzione è posta solo ed esclusivamente a questioni di natura tecnica. Vengono così sminuite le numerose difficoltà che hanno coinvolto gli studenti in prima persona, portandoli a sentirsi demoralizzati e abbandonati.
Qualsiasi cosa accada, in futuro sarà necessario ripartire in primo luogo dal ruolo che gli alunni hanno non solo all’interno della scuola ma della società, perché è anche e soprattutto grazie all’istruzione che si creano dei cittadini consapevoli e informati. Altro punto fondamentale sarà il ruolo di educatore e formatore che riveste la scuola stessa. Questa dovrà cercare di diventare sempre più inclusiva, digitalizzata e in grado di creare dibattito e senso critico tra i giovani, invogliandoli ad un miglioramento e ad una crescita costante.