“Niente nella vita va temuto, deve essere solamente compreso”
Varsavia, 1867. In una Polonia divisa fra Austria, Prussia e Russia nasce Maria, ultima dei cinque figli della famiglia Skłodowska. Maria manifesta fin da piccola una grande intelligenza e un’estrema serietà, che molti interpretano come freddezza. Determinata e ostinata, capisce presto che quello per la scienza non è un interesse passeggero ma un vero e proprio amore. Un amore che vuole coltivare ad ogni costo, anche se dove lei vive le donne non possono andare all’Università. E proprio per questo, pur avendo ereditato il patriottismo dei suoi genitori, Maria decide di trasferirsi in Francia, dove può continuare i suoi studi e dove prende il nome con il quale sarà conosciuta in tutto il mondo: Marie. Anzi, per la precisione, Marie Curie. Ma andiamo con ordine.
La passione per la conoscenza
Si dice che il buongiorno si vede dal mattino, e nella vita di Marie Curie è stato un po’ così. Marie, all’epoca ancora Maria, è risultata precoce fin dalla più tenera età. La sua voglia di imparare non venne ostacolata neanche dagli scherzi dei suoi compagni. Un esempio lampante fu il giorno in cui, a scuola, gli altri bambini le costruirono attorno una piramide di sedie mentre lei, ignara, era immersa nella lettura di un libro. La sua reazione, quando si accorse di ciò che le stava succedendo intorno, fu un semplice “che idiozia“. Fin da bambina, insomma, le banalità che interessavano e divertivano gli altri non avevano nessun tipo di appeal su di lei.

Terminata la scuola, neanche a dirlo con la medaglia assegnata ai migliori, Maria non si perse d’animo e cominciò a studiare all’Università Volante. Si trattava di un circolo di matrice positivista che, ovviamente nell’illegalità, permise a Maria di soddisfare la sua sete di conoscenza. Il suo obiettivo però è quello di iscriversi all’Università. Ma la famiglia Skłodowska non godeva di grandi possibilità economiche, e per questo Maria dovette aspettare qualche anno prima di raggiungere a Parigi sua sorella Bronia, che intanto era riuscita ad iscriversi a medicina. Buon sangue non mente.
Con Bronia aveva stretto un patto: aiutarsi a vicenda a pagare gli studi. Per fare la sua parte, Maria cominciò a lavorare come istitutrice privata per la famiglia Zorawski, in quello che per lei fu un vero e proprio esilio: era infatti distante diverse ore da Varsavia e dalla sua famiglia. La sua esperienza presso gli Zorawski non fu totalmente negativa (si innamorò del figlio maggiore della famiglia, ma questa è un’altra storia), però alla scadenza del suo contratto non esitò un attimo a lasciare la provincia dove aveva passato gli ultimi tre anni e a tornare in città.
Da città a città: gli sforzi valsero la pena, e finalmente nel 1891 Maria lasciò Varsavia per trasferirsi a Parigi e studiare alla Sorbona. E fu proprio in questo frangente che Maria diventò Marie, anche se la sua sostanza non cambiò. Lo studio continuò ad essere la costante della sua vita, tanto da laurearsi non solo in Fisica, ma anche in Matematica. Ovviamente, era fra i migliori in entrambi i corsi. La sua passione per la scienza stava finalmente diventando una professione. E proprio grazie alla scienza, una giovane Marie incontrò quello che sarebbe stato il grande amore della sua vita: Pierre Curie.

L’amore
Marie conosceva già l’amore. Quando era ancora in Polonia si era innamorata, ricambiata, di Casimiro Zorawski. Ragazzo di buona famiglia, studente di ingegneria agraria, Casimiro aveva intenzioni serie con Marie. Intenzioni che però furono bruscamente bloccate dalla famiglia di lui, che non accettava di buon grado l’idea che il figlio maggiore potesse passare la sua vita con una ragazza di origini umili. Morale della favola: Casimiro tornò a studiare a Varsavia e Marie continuò a lavorare per una famiglia che non l’aveva accettata.
Ma col senno di poi questa delusione non fu una così grande tragedia, dato che diede a Marie l’opportunità di conoscere Pierre. Quando si incontrarono, nel 1894, Pierre Curie aveva trentacinque anni e Marie ventisei. Lui era molto dedito al lavoro, e trovò in Marie una perfetta altra metà della mela. Tutto cominciò come una collaborazione scientifica, che si sviluppò in amicizia e infine in un grande, grandissimo amore. Il loro fu un matrimonio molto ben assortito. Due menti geniali, accomunate dalla passione per la ricerca scientifica. Passavano ore nel loro piccolo laboratorio a studiare e scoprire, mossi da una curiosità senza limiti. A volte, nel bel mezzo della notte, andavano in laboratorio ad osservare i colori brillanti degli elementi radioattivi con i quali lavoravano, e dei quali ancora non conoscevano la pericolosità.
Pierre e Marie si sposarono nel 1895 e dal loro matrimonio nacquero due figlie: Irène ed Ève. La prima ereditò la passione per la scienza dai genitori, dei quali seguì le orme arrivando anche ad ottenere il Premio Nobel per la Chimica nel 1935. Ève invece percorse una strada diversa, diventando scrittrice, giornalista e pianista. L’istruzione era vista dai coniugi Curie come qualcosa di imprescindibile per le loro figlie. Per quanto il lavoro occupasse gran parte della vita di Marie, stimolare gli interessi delle sue figlie era un obiettivo che non aveva intenzione di fallire. E ancora una volta la perseveranza diede i suoi frutti.

Il dolore della perdita
Purtroppo, però, il matrimonio felice fra Marie e Pierre non durò a lungo. Nel 1906 infatti, quando Ève non aveva ancora compiuto due anni, Pierre morì in un incidente, investito da una carrozza. Non era la prima volta che Marie soffriva il dolore bruciante della perdita. Quando aveva solo sette anni, infatti, perse la madre a causa del tifo; poco tempo dopo morì anche sua sorella Zosia. Non solo: negli anni che separarono la nascita di Irène da quella di Ève, Marie subì un aborto spontaneo. Il suo essere figlia, sorella e madre avevano già subito brutti colpi; stavolta toccava al suo essere moglie.
Dall’esterno, Marie sembrava affrontare la perdita del marito con lo stoicismo con il quale aveva affrontato tutta la sua vita. Sempre seria, mai eccessiva o sentimentale, sembrava che nemmeno il dolore potesse scalfirla. Nessuno, a parte sua sorella Bronia, conosceva davvero il suo più intimo essere. Un essere che però in qualche modo doveva tirare fuori. Il giorno della morte di Pierre, Marie cominciò a scrivere un diario. Per la prima volta scriveva non per appuntare studi e scoperte, ma per far uscire fuori le sue emozioni. Proprio questo diario, riportato fra l’altro nel libro della scrittrice spagnola Rosa Montero “La ridicola idea di non vederti più“, ci dà un nuovo punto di vista su una donna tanto incredibile.

Il lato più intimo, sofferente e fragile di una donna alle prese con il lutto, la crescita di due figlie, il lavoro, il tentativo di ricominciare. Dal diario di Marie Curie emerge tutto quello che di lei è sempre stato nascosto: le emozioni, le difficoltà, il dolore. Si rivolge direttamente a Pierre come se lui non fosse mai andato via, quasi a volerlo sentire più vicino. E in questo modo, mostra per la prima volta tutta la sua umanità.
La vita dopo Pierre
La vita di Marie dopo la morte di Pierre fu molto impegnativa. Rimasta vedova, tornò presto al suo lavoro, e ottenne anche una cattedra alla Sorbona. Trovare il tempo per essere madre e lavoratrice a tempo pieno non è facile oggi, e lo era ancora meno un secolo fa. Il padre di Pierre, Eugène Curie, le stette accanto e la aiutò soprattutto nella cura delle bambine.
Qualche anno più tardi, il cuore di Marie ricominciò a battere per un uomo: era Paul Langevin, amico di famiglia e stimato fisico. Il loro fu un rapporto molto complicato. Paul era sposato e padre di famiglia e, anche se le cose con sua moglie non andavano già bene da un po’, faticava a mettere fine al matrimonio.
La relazione fra i due uscì allo scoperto nel 1911, poco prima dell’assegnazione del secondo Nobel a Marie. L’opinione pubblica fu molto critica nei confronti di Marie, la vedova accusata di essere una sfascia famiglie. La storia fece così tanto scalpore che l’Accademia Reale Svedese delle Scienze consigliò a Marie di non presenziare alla cerimonia. Ma lei non si era mai fatta intimorire dalle critiche, e non lo fece neanche in quel frangente: ritirò il Premio e lo dedicò a Pierre, a quello che a prescindere da tutto restava il suo grande amore.
Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Marie Curie mise le sue scoperte e le sue capacità al servizio degli altri. Fu impegnata in prima linea a fare radiografie ai feriti di guerra, con un veicolo dotato di un’apparecchiatura costruita proprio sulla base delle sue scoperte. Fu inoltre impegnata nella formazione di infermieri e tecnici. Fra le persone con le quali collaborò negli anni della guerra, ci fu anche sua figlia Irène, al fronte con la madre.
Dopo la guerra, Marie continuò i suoi studi sul radio e la radioattività. Si impegnò anche nella ricerca di fondi, effettuando per questo viaggi che la portarono anche oltre oceano con le sue figlie. Il suo lavoro e la sua genialità erano riconosciuti ormai in tutto il mondo. Al di là dei pettegolezzi (fu anche accusata di essere di origine ebrea in una sorta di Affaire Dreyfus che la vide protagonista) e delle malelingue, erano i risultati del suo impegno a contare davvero.
La donna dei record dal destino beffardo
La tenacia e la determinazione manifestati da Marie fin dai primi anni di vita la portarono non “solo” alla realizzazione professionale, convertendola anche in una vera e propria donna dei record. Nel 1903 fu la prima donna a ricevere un Nobel. Si trattava del Premio per la Fisica ottenuto insieme al marito Pierre e ad Antoine Henri Becquerel per il loro lavoro sulla radioattività. Otto anni più tardi le fu conferito anche il Premio per la Chimica, divenendo la prima persona al mondo a ricevere due Nobel, nonché in due diverse discipline.

Ma non è tutto. Marie Curie è stata la prima donna a ricevere la cattedra di professore ordinario alla Sorbona. Il conferimento dei suoi sogni, accompagnato però da non poca sofferenza. Le venne affidata infatti quella che era stata la cattedra di suo marito Pierre. Marie non lasciò trapelare alcun segno di emozione durante le sue lezioni, ma dal suo diario emerge tutta la tristezza di un destino che le aveva dato una grande carriera ma l’aveva privata dell’amore della sua vita.
Tu saresti stato felice di vedermi in cattedra alla Sorbona, e io stessa l’avrei fatto volentieri per te. Ma farlo invece di te, Pierre mio, si potrebbe mai immaginare una cosa più crudele?
L’ultimo primato è arrivato però postumo. Marie morì nel 1934 a 66 anni, il suo corpo molto provato dalle radiazioni. Ancora una volta il destino le giocò uno strano scherzo: ciò a cui aveva dedicato tutta la sua vita, l’ha portata alla morte. Venne sepolta nel cimitero di Sceaux, ma nel 1995 le sue spoglie, così come quelle di Pierre, sono state portate al Pantheon di Parigi. Diventò così la prima donna ad ottenere questo tipo di onorificenza, per meriti propri. Più di mezzo secolo dopo la sua morte, Marie ha continuato a dimostrare tutta la sua unicità.
Fonte di ispirazione
La storia di Marie Curie è fonte di ispirazione. Prima di tutto, nel campo scientifico. La scoperta del polonio e del radio, e il suo lavoro sulla radioattività, sono stati fondamentali per il progresso scientifico contemporaneo. È riuscita a farsi strada in un contesto ostile e in un mondo, quello scientifico e accademico, dominato dagli uomini. Ma non è solo questo. Il modo in cui ha lottato per ottenere ciò in cui credeva, la perseveranza dimostrata, la capacità di conciliare i diversi ambiti della sua vita: per questo, e per molto altro ancora, Marie Curie è un riferimento costante. E lo è anche per la filosofia con cui ha affrontato la sua esistenza.
Dobbiamo credere che siamo nati per qualcosa e dobbiamo raggiungerla, questa cosa, a qualsiasi costo.