Il 3 maggio 2020, in una Venezuela in quarantena, un contingente costituito da due veterani statunitensi al soldo della compagnia a stelle e strisce Silvercorp e da militari venezuelani dissidenti ha raggiunto la Baia di Macuto partendo dalla Colombia. L’obiettivo prevedeva l’arresto di cariche di Stato su cui pendono accuse di narcotraffico, tra cui probabilmente lo stesso Maduro. L’operazione Gedeón, come è stata denominata l’incursione, si è risolta in un fallimento. Il regime ha neutralizzato senza difficoltà il gruppo, accusando Colombia e Stati Uniti dell’intervento.
L’effetto scaturito è stato quello di rafforzare la posizione interna di Maduro. Il presidente de facto del Venezuela ha potuto usare nuovamente la retorica del nemico esterno imperialista. L’amministrazione Trump ha rinviato le accuse al mittente affermando che si trattasse di uno dei tanti melodrammi inscenati da Maduro.

https://www.eldiario.es/theguardian/mercenario-estadounidense-desubicado-Miami-Venezuela_0_1025048239.html
Per quanto sia difficile credere che l’amministrazione Trump fosse all’oscuro di tutto, il sostegno diretto statunitense non c’è stato. L‘amministrazione Trump ha infatti una propria visione sulla strategia da usare in Venezuela e, inaspettatamente, non si tratta di una rottura radicale rispetto all’amministrazione Obama. Questo articolo riflette sulla natura del regime venezuelano per poter spiegare la strategia statunitense e l’impossibilità di utilizzare le armi per estromettere Maduro.

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Il ruolo dei militari nel chavismo
La particolarità dell’esercito venezuelano è la sua estrazione sociale medio-bassa, che lo pone lontano rispetto al sentire borghese. Quando Chávez, padre fondatore del chavismo e predecessore di Maduro, vestiva ancora i gradi militari, aveva già individuato il problema del Venezuela nella corruzione. La soluzione del comandante era quella di effettuare un’operazione chirurgica, estromettendo i partiti tradizionali dal governo attraverso l’azione militare. Il golpe del 1992, tuttavia, fallisce. Sei anni dopo, Chávez diventa Presidente attraverso la via democratica. La visione che porta con sé a palazzo Miraflores rimane comunque la stessa: è necessario un cambiamento rivoluzionario fondato su un’unione civico-militare tra popolo chavista ed esercito rivoluzionario.
L’unione civico-militare
Il principio dell’unione civico-militare viene sancito anche costituzionalmente da Chávez. Il nuovo Presidente invita i militari a uscire dalle caserme per prendere parte alla trasformazione in atto. Dall’inizio del nuovo millennio, non a caso, i militari cominciano ad avere un ruolo economico e dirigenziale attivo. L’impresa statale petrolifera, PDVSA, che prima del chavismo era la terza esportatrice di petrolio a livello mondiale, viene militarizzata. Il 24% degli incarichi ministeriali sono assegnati ai militari. Anche della distribuzione alimentare, parallela all’economia formale e a beneficio dei ceti meno abbienti, sono incaricate le forze armate.
Chávez dunque riesce a portare i militari fuori dalle caserme, fattore che diviene un’occasione di arricchimento, grazie alle cariche ottenute. Quando Chávez muore, nel 2013, nessun eventuale successore può fare a meno di offrire concrete garanzie di continuità alle forze armate.
Maduro presidente
Chávez ha giusto il tempo di designare come suo successore Maduro, ma i rivali interni non mancano. Spicca tra questi il numero due del chavismo, Diosdado Cabello, ex compagno di golpe di Chávez, Presidente dell’Assemblea Nazionale ed ex militare. Per compensare il prestigio di Cabello, Maduro incrementa i benefici concessi alle forze armate: gli incarichi ministeriali ricoperti dai militari, nel 2017, arrivano al 42%. Non mancano occasioni lecite e illecite per arricchirsi e continua il processo di militarizzazione dell’economia. L’obiettivo viene raggiunto: Maduro può candidarsi a questo punto alle elezioni presidenziali del 2013 e vince, anche se l’opposizione torna in forze.
Durante la presidenza di Maduro, tuttavia, termina anche il superciclo delle materie prime. Il prezzo del petrolio, che negli anni di Chávez aveva nascosto le inefficienze del regime e di PDVSA, scende tanto da far diventare insostenibili le spese sociali . Il regime comunque non arretra: stampa denaro senza preoccuparsi dell’inflazione, oggi la maggiore del mondo con un +10 milioni% all’anno, calmiera i prezzi – nonostante ciò si riveli inutile poiché stimola il mercato nero informale – e continua a espropriare e militarizzare.
Un’unione più militare che civile
Con il collasso economico, l’elettorato decide che è necessario un cambio di rotta e alle elezioni legislative del 2015, per l’Assemblea Nazionale, castiga il chavismo. L’opposizione ottiene i due terzi dei seggi. È in questo periodo che il chavismo abbandona in modo più evidente la via democratica: gli organi costituzionali già allineati al regime, soprattutto il potere giudiziario controllato dalla moglie di Maduro, cominciano a depotenziare l’opposizione colpendola con carcere e inabilitandola alle elezioni. Vengono relegati ai margini della costituzionalità 19 dei 20 partiti vincitori delle elezioni del 2015.
Il braccio militare e quello paramilitare garantiscono il controllo del territorio e della dissidenza. Nei quartieri poveri, dove si sopravvive con il sostegno alimentare delle missioni sociali chaviste, si procede perfino all’addestramento paramilitare in ottica antistatunitense.

https://www.rtve.es/noticias/20190502/venezuela-maduro-exhibe-lealtad-militares-tras-intento-levantamiento-guaido/1930944.shtml
Il modello cubano
La via intrapresa dipende molto dall’insegnamento cubano. Già nel 1994, dopo il golpe, Chávez era stato accolto a L’Avana. In un discorso tenuto all’università, con Fidel Castro tra il pubblico, aveva esposto il proprio progetto politico, la volontà di nutrire Cuba con il petrolio, e si era in ultimo vantato di non poter entrare negli Stati Uniti.
I dispacci diplomatici delle ambasciate presenti a Caracas, pubblicati su WikiLeaks, dimostrano l’entità della presenza cubana in Venezuela. Nel 2006, si stimava che arrivassero circa 350 cubani al giorno, attraverso aerei commerciali e militari.
Si è trattato di personale sanitario, inviato in Venezuela in cambio di petrolio, ma anche di Intelligence, capace di controllare strettamente i militari venezuelani e di stroncare la dissidenza tra i ranghi. Questo apparato è stato utile al regime in diverse occasioni. È il caso ad esempio della Missione Identità, che ha previsto l’accelerazione del processo di regolarizzazione degli immigrati provenienti dai Caraibi, bacino elettorale del chavismo.
La strategia statunitense contro Maduro
Vista la natura del regime, le amministrazioni Obama e Trump hanno cercato di colpire Maduro attraverso le sanzioni. Il fine di questo strumento è di indebolire Maduro nel fronte interno, cercando di trasmettere l’idea che la dittatura abbia i giorni contati. La maggior parte delle sanzioni hanno colpito ufficiali vicini a Maduro, con conti all’estero, e gli attivi delle compagnie controllate da PDVSA, per esempio la statunitense Citgo. Trump ha congelato gli attivi di Citgo consegnandoli a Guaidó, Presidente riconosciuto. L’obiettivo implicito è quello di comprare i militari.
Gli Stati Uniti puntano quindi sul logoramento del vicino venezuelano nel lungo periodo. Nonostante varie personalità dell’amministrazione Trump, tra cui Mike Pence, John Bolton, parlamentari di origine latinoamericana come Marco Rubio, e lo stesso Trump, continuino a sbandierare che “ogni opzione è sul tavolo“, un intervento diretto contro il Venezuela comporterebbe il rischio di impantanarsi in un bagno di sangue, poiché non è certa la reazione di militari e milizie irregolari, nei cui ranghi potrebbero essere reclutati anche civili di bassa estrazione sociale.
Nell’ottica statunitense, dunque, l’Operazione Gedeón era destinata al fallimento in partenza; non a caso il regime e i militari hanno risposto in modo compatto. Non è probabile un impegno diretto da parte degli Stati Uniti, come non è probabile che l’amministrazione Trump fosse dietro alla sortita militare. Certamente, rimane la possibilità di avventurarsi in Venezuela attraverso compagnie private di bandiera, di modo che, nel caso di esito positivo, gli Stati Uniti possano presentarsi come cervello dell’operazione e ottenerne prestigio. In caso di esito negativo, invece, l’amministrazione Trump continuerebbe a palesare la propria estraneità ai fatti.