Tra i tanti punti interrogativi sulle sorti di interi settori economici, primeggia quello dell’industria dello spettacolo. Cosa vuol dire fermare una macchina così enorme per lungo tempo? Trovando poche risposte, abbiamo deciso di dare voce a coloro che vivono sulle spalle il peso della quarantena, cercando di capire le difficoltà e i progetti per il futuro. Abbiamo quindi preso come riferimento tre locali molto diversi tra loro nel panorama bolognese e ci abbiamo fatto due chiacchiere. Abbiamo già intervistato Giovanni Marinelli de Il Cortile, oggi invece siamo con Marco Cantelli per il Covo Club di Bologna.

A chi non conosce il Covo, cosa diresti per convincerlo a venire?
Abbattiamo qualche barriera di terrore dai. Con il Covo ci rivolgiamo a una nicchia di appassionati di musica live che sfidano qualsiasi intemperia (e pandemia) pur di sentire la musica, quindi non sono preoccupato. È uno dei club più vecchi d’Italia; vecchi in senso buono: è cresciuto passando di generazione in generazione, annusando le tendenze del momento in tutto il mondo. Adesso lo gestiamo in quattro under 35, più due soci over 35. Siamo stati “allevati” dai gestori di una volta a cercare quello che può emergere nel panorama internazionale. Noi abbiamo avuto la fortuna di trovare tutto il filone del cantautorato italiano, che non è sempre ciò che il Covo ha prediletto. Spesso però siamo riusciti ad essere un po’ gli apri fila di queste scoperte, come accadde con il celebre live di Calcutta. Abbiamo anche lanciato i Franz Ferdinand, gli XX e molti altri.
Quando si è diffusa in Italia la pandemia, avevate immaginato che l’emergenza sarebbe durata a lungo o avete cercato un po’ di “rattoppare”, sperando in una veloce ripresa?
Io l’avevo capito subito ed è testimoniato anche da alcune immagini. In quel periodo, avevamo iniziato a girare il documentario che ripercorre i 40 anni di storia del Covo. Stavamo girando anche durante il weekend di fuoco pre-chiusura e, ad un certo punto, rivolgendomi alla telecamera – pure troppo spontaneamente – ho detto: “Claudia segnati questa data perché sarà l’ultima serata che faremo per mesi e mesi”. Avevo analizzato molto la situazione ed avevo un po’ fiutato… Anche se, ovviamente, non mi aspettavo dimensioni così grosse.
Da quando è iniziata la pandemia, a livello economico che tipo di difficoltà avete incontrato?
I mancati incassi sono la principale difficoltà. Il Covo ha da pagare affitto e bollette ma essendo un posto comunale, fortunatamente l’amministrazione ci sta venendo in contro… Stiamo cercando di dialogare il più possibile. Non pretendo che telefonino a tutti ogni giorno per sentire se va tutto bene, forse non siamo la priorità e posso anche capirlo. Siamo però riusciti a rimborsare i concerti annullati, nonostante questo implichi zero guadagni nei mesi a venire. Il problema principale è che molti degli altri ragazzi si dedicano al Covo a tempo pieno. Quindi, a livello personale, ci sono molti addetti ai lavori che non sanno che pesci prendere.
Non avete ricevuto la cassa integrazione in deroga?
Essendo soci gestori di un’associazione culturale, attualmente no. Chi aveva un altro lavoro, magari, riesce da lì a ricevere qualche sostegno. A livello di agevolazioni, per il mondo del clubbing /operatori culturali per ora non c’è molto. Alcune mail di realtà che ti propongono di unirsi a loro per cercare bandi e fondi sono arrivate, ma bisogna vedere se nei fatti si attiveranno.
Abbiamo cercato di tagliare tutte le spese possibili per riuscire a ripartire senza spargimenti di sangue.
In questo momento, l’industria musicale in genere sta puntando molto sullo streaming, invece il Covo ha scelto consapevolmente di non cercare quasi per niente il contatto virtuale con il pubblico?
Sì, è una scelta ben precisa. Pensando al Covo come un posto in cui si crea socialità, distoglierlo da quell’obiettivo lì non ci sembrava giusto. Ci siamo detti che se dovevamo organizzare qualcosa che non lo mostrasse nei suoi aspetti più caratteristici, avremmo fatto un torto alla storia stessa del posto. È una cosa molto sentimentale. Ti faccio un esempio. Sono tornato tre giorni fa al Covo per vedere se fosse tutto a posto e mi sono emozionato. Ho condiviso poi due foto brutte ed è stato bello vedere quanto tante persone abbiano condiviso la nostalgia legata al non poter vivere il posto.
Stiamo ragionando su cosa inventarci per quando si potrà tornare a aprire: magari in 10-15 persone, senza bisogno che siano concerti o dirette di live, ma qualcosa che ci permetta di coinvolgere gli artisti locali in modi fuori dagli schemi.

Ci sono prospettive di tornare a “essere” il Covo prima di una normalità quindi?
Sì ci sono, ma non possiamo sapere esattamente il valore che avranno: quello che sappiamo è che saranno più o meno a costo zero. Saranno spinte da coloro che vogliono bene al posto. All’inizio della stagione, volevamo coinvolgere queste stesse persone per la realizzazione del documentario e di un festival che avremmo dovuto fare tra Settembre e Novembre, per i fantomatici 40 anni. Volevamo prendere tutta la loro emotività. Continueremo a dire che è il quarantennale anche quando lo festeggeremo un anno dopo. Ma sono tutti pronostici.
È fattibile l’idea di stare all’aperto, nel parco circostante?
Tutto è possibile, ma è difficile pensare che “giri” l’artistico in Settembre – Ottobre… Anche perché tutto si dovrebbe muovere a breve. Inoltre, fare un programma del Covo di soli artisti italiani è un po’ complesso: quando devi gestire la sicurezza, l’inquinamento acustico e mille altre cose – probabilmente sempre più costose – non è detto che sia sostenibile economicamente. In una realtà piccola come la nostra si fa fatica spesso a stare in piedi. Sarà da capire la situazione economica delle persone. Noi sappiamo che quando potremo tornare a fare socialità, ci saremo. A meno che non debbano trascorrere cinque anni: allora saremo depressi e non ne avremo più voglia!
Visto il riscontro ottenuto anche con una sola foto, il pubblico del Covo non si è dimenticato di voi. Sareste pronti a ripartire anche a suon di mascherine, distanziamento e temperatura misurata all’entrata?
Al Covo è impossibile, per ragioni di capienza e forma del locale. Saremmo disposti, ma non abbiamo lo spazio. È un posto complicato da gestire, essendo anche un edificio storico, ma non lo cambieremo con nessuno spazio al mondo.
Secondo te, che fine farà la proposta culturale della città? Ci aspettano solo dei bar e delle birre distanziate?
Io spero che accada l’opposto. Intanto, che i bar e le realtà piccole riescano ad aprire anche se limitatamente a pochi tavoli. Non per fare il gufo, ma non sempre è economicamente fattibile aprire al pubblico: capisci che se uno deve fare otto paganti invece che quaranta… Anche qui il Comune sta lavorando: concedendo esenzioni sui deors, tavolini e quant’altro. Magari, in autunno riapriranno anche teatri e cinema, visto che tanto d’estate non sarebbero proprio il luogo “perfetto”. Quando il problema sarà più controllato, confido nel fatto che la gente abbia voglia di occupare spazi ancora più di prima, perché quando una cosa ti manca hai voglia di prenderne parte il prima possibile.
Intendi dire che apprezzi una cosa solo quando non c’è più?
Sì, credo che tutti avranno voglia di tornare a stare insieme, avranno un sacco di cose da condividere, riscoprendo insieme quel tipo di esperienza. E i posti che fanno cultura, di solito, beneficiano di questo. Rispetto all’idea di fare concerti nei bar e per strada durante l’estate è una bella proposta, ma non può essere risolutiva. Chi frequenta questo mondo lo sa che è fatto in un certo modo, per chi non è un abituè può essere una chance per approcciarsi alla live music… Magari è utile ma è difficile pensare che queste persone si appassionino davvero ad un concerto mangiando un piatto di pasta.