Il modo migliore per capire sul serio un fenomeno è quello di osservarlo da vicino. In questo caso, ci interessa conoscere l’impatto reale che la crisi provocata dal covid-19 ha avuto nel settore dello spettacolo. Vogliamo sensibilizzarci rispetto alla mancanza di tutele e riconoscimento che hanno i lavoratori del settore.
Abbiamo quindi preso come riferimento tre locali molto diversi tra loro nel panorama bolognese e abbiamo fatto due chiacchiere con i loro soci. Partiamo con Giovanni Marinelli per il Cortile Cafè.

Se lo chiede persino chi frequenta il Cortile abitualmente: svelaci cosa è precisamente il tuo locale.
Siamo un ibrido, una via di mezzo tra un piccolo live club (avendo ogni sera dei concerti) ed un bar. Mi è sempre piaciuto dire che il cortile non offre delle birre ma regala dei concerti. Non mi sento bar, mi sento live club che ti dà anche da bere. Il nostro obiettivo non è mai stato quello di creare un American Bar di qualità con vasta gamma di scelte di cocktail, ecco.
In effetti non credo di aver mai visto il Cortile senza musica…
All’inizio della pandemia, il problema principale era proprio quello per cui da noi la gente sta in piedi. C’è assembramento e aggregazione sociale; non è un bar dove ordini e ti godi il drink stando seduto. La prima settimana di limitazioni, dal 29 marzo, è stato infatti un massacro. Con 40 persone sedute nell’arco di un’intera serata per noi era assolutamente antieconomico e non funzionale. L’8 Marzo avevamo deciso di chiudere per preservare noi e i nostri clienti, anticipando di pochissimo la decisione governativa.
Vado al dunque: come ne veniamo fuori?
Adesso che un barlume di luce si inizia a vedere ti dico che speriamo di riuscire ad aprire dal 1 Giugno con tutti i paletti del caso. Il Comune di Bologna si sta attrezzando per riuscire a garantire a chi come noi ha un locale prettamente invernale, dehors e spazi esterni dove allestire tavoli e quant’altro… Soprattutto speriamo che le procedure burocratiche siano più veloci, in modo da tornare operativi il prima possibile. Vorremmo cercare di suonare nell’ipotetico spazio all’aperto: abbiamo visto che, fortunatamente, il Comune vuole dare questo imprinting del “non dimentichiamoci della cultura” in qualsiasi forma.
Di tutto ciò che è cultura condivisa e socialità, cosa ne sarà da qua in avanti secondo te?
Resta ben poco di quello a cui eravamo abituati. Rimangono realtà come le nostre, piccole, che cercheranno di fare il massimo con le risorse disponibili. Mi auguro che esista disponibilità da parte di tutti. Se da parte nostra sta nel rimanere aperti solo qualche sera a settimana, se dal Comune sta nel trovare il modo di farci fare il Cortile in versione estiva… Nelle persone dovrà esserci la disponibilità a spendere qualcosa di più per permetterci di sopravvivere; dovranno anche capire che potranno stare solo seduti e distanziati.
I vostri clienti apprezzeranno la volontà di rimanere in vita a qualsiasi costo, con dei compromessi certo, ma né snaturandovi né scomparendo… Non credi?
Secondo me sparire in questo momento è la cosa meno indicata da fare. Ma non potendo fare delivery, l’unica cosa che posso dire è che quando mi sarà possibile io ci sarò. In una formula diversa ma – se ce ne daranno la possibilità – dando sempre uno spettacolo di musica live, con artisti del territorio, per cercare di rimettere in moto anche quella macchina.

Come pensi sia stato curato online il rapporto con il pubblico durante questi mesi di chiusura?
Non è stato sfruttato quanto avremmo potuto. Ma nel momento in cui ho iniziato a pensare di farlo, c’era un’offerta enorme di questo tipo di contenuti e quindi è stato immediato ricordarmi che essendo una realtà legata al mio territorio, era una strada da percorrere. L’unica giornata di live streaming è stata decisa per il 25 Aprile. Essendo una giornata così importante per Bologna abbiamo deciso di esserci per omaggiare quel momento. Ho chiamato a raccolta amici che suonano spesso al Cortile e abbiamo tenuto compagnia al nostro pubblico per più di un’ora. È stato bello, il pubblico ha risposto molto.
C’è fermento quindi!
Il punto è che le persone sono stanche e hanno voglia di tornare alla socialità. Non c’è paura, ma attenzione, responsabilità.
Soprattutto chi frequenta il mondo della musica live avrà la maturità di pensare che se vogliamo tornare ad un certo tipo di realtà dobbiamo stare attenti. Confido che la gente capirà e farà ciò che gli viene detto.
Cosa vedo da qui a sei mesi? Io sono convinto che fin quando non verrà fuori una cura/soluzione risolutiva sarà impossibile tornare alla vita di prima. E non credo che accadrà prima di sei mesi/un anno. Quindi se penso ad un Cortile invernale post – covid19 immagino che, venendoci tutti un po’ incontro, dovrò chiedere una cifra per l’ingresso. Altrimenti è insostenibile andare avanti per me. Se volessi fare solo bar allora sarebbe un altro discorso.
Non si perderebbe il senso del locale a quel punto?
Credo che continuare a fare live music sia il modo più efficace per sensibilizzare le persone al fatto che fare il musicista è un lavoro, che coloro che stanno “dietro” hanno un lavoro e sono tutte persone che devono essere pagate.
Una delle poche note positive del momento mi sembra che sia stato il far emergere le problematiche profonde che da tempo affliggono il mondo dello spettacolo: spesso, sono sconosciute al pubblico; non se ne parla proprio, dunque non ci si pone nemmeno il problema.
Sì, le persone hanno spesso l’idea che se fermi la musica per un anno danneggi solo i big del settore. Invece, paradossalmente loro potrebbero stare fermi per anni e vivere bene comunque. Il pensiero non va mai a chi serve per mettere in piedi l’enorme spettacolo. A chi guadagna 1300 euro al mese, che adesso non percepisce nemmeno, e magari non riesce a mettere su le 30 giornate di contributi come chiede l’INPS. Oggi ci focalizziamo su quello “settore grosso” da attaccare, senza pensare che sotto c’è un esercito. Dovremmo dire sempre di più che la musica non è fatta solo dall’artista.
Voi che tipo di finanziamenti avete avuto?
Dovremmo riuscire a rientrare nelle fasce professionali previste dallo Stato per i prestiti pensati per far ripartire il sistema musicale. Per il resto, non c’è stata tutta questa mobilità. Io penso a me e il mio socio, che non siamo dipendenti e che con un buono di 600 euro in due mesi, che fra le altre cose non ho ancora visto, non è semplice vivere. Mi è sembrato un “non fare bene in conti”.
Insomma, bene che ci sia, ma una cifra così irrisoria non è risolutiva. È questo che intendi?
Andava ragionata meglio forse. Dobbiamo anche entrare nell’ottica per cui è una manovra fatta in pochissimo tempo durante una pandemia: magari, ci sarà un margine di cambiamento appena si calmano le acque. Non mi sento di colpevolizzare nessuno, visto che hanno dovuto gestire una situazione più unica che rara. Se poi rapporto la mia situazione con le realtà familiari che hanno la mia stessa unica entrata, ritorno coi piedi per terra. Tirare fuori empatia mi serve per tenermi a galla: inserirsi in una prospettiva macro è utile per ridimensionare le proprie necessità.