L’hate speech non ha tardato a presentarsi dopo il rientro a casa di Silvia Romano
Sabato 9 maggio, il mondo intero ha appreso la notizia della liberazione della cooperante milanese Silvia Romano, rapita nel novembre del 2018 in Kenya da un gruppo di criminali locali e venduta ai terroristi somali di Al-Shaabab. È stato lo stesso Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a riferire la notizia sui suoi canali social. Dopo 18 mesi di carcerazione e prigionia, finalmente Silvia è stata salvata e riportata in Italia.
La liberazione di Silvia Romano ha spodestato letteralmente le informazioni e le attenzioni sul Coronavirus di tutti i quotidiani e giornali online. La notizia del suo salvataggio ha scatenato la gioia ma anche l’ira e l’indignazione del popolo del web sotto La Stampa, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano, e qualsiasi altro mezzo di informazione che trattasse questo tema.
Le polemiche degli utenti di Facebook non hanno risparmiato nemmeno una connazionale, una giovane ragazza italiana, che era andata ad aiutarli a casa loro, come molti avevano sempre auspicato, sempre sui social.
La retorica dell’odio
La retorica dell’odio e della disapprovazione è la stessa utilizzata per le due ragazze rapite in Siria nell’estate del 2014: Greta Ramelli e Vanessa Marzullo. Il loro salvataggio, per il quale si è parlato del pagamento di un riscatto da parte dello Stato italiano, è avvenuto dopo cinque lunghi mesi.
Anche in questo caso, ci sono stati due schieramenti. Utenti felici che hanno manifestato la loro gioia e utenti arrabbiatissimi per questo spreco di denaro pubblico.
In un periodo di emergenza sanitaria e sociale come quella che stiamo vivendo, lo Stato non doveva cedere ai ricatti dei terroristi e versare una somma di denaro così alta. 4 milioni di euro per riscattare una che ha lasciato il proprio paese (quando noi non prendiamo ancora la cassa integrazione) per andare a cercarsela in Africa, quando poteva restare qui e fare volontariato nella mensa dei poveri.
Questa è la tesi della grande maggioranza che commenta questa vicenda. Sullo stesso fronte, in passato, si era in parte schierato anche il giornalista Massimo Gramellini.

Personalmente ho deciso di non censurare i nomi degli utenti, questa immagine proviene dalla pagina Facebook di Commenti Clericabili & Co. . Le persone che hanno commentato con il loro profilo personale, avvalendosi dell’utilizzo di un linguaggio volgare, si sono esposti pubblicamente sulla piattaforma, accettando ogni conseguenza delle loro azioni.
La dialettica invece verte tutto sull’hate speech. Un tipo di linguaggio incentrato sulla creazione della paura, intolleranza, diffusione d’odio, nei confronti del soggetto preso di mira. Il linguaggio colorito che il popolo del web utilizza per condannare Silvia, non risparmia nemmeno il genere a cui appartiene. Qui tutte le campagna di sensibilizzazione sul sessismo, xenofobia, body shaming non hanno avuto nessuno effetto sulla popolazione di Internet.
Non solo Silvia Romano
Ma Silvia Romano non è stata l’unica vittima dell’odio social di questo weekend. Un’altra donna, una donna del governo, un ministro della Repubblica, è stata inondata di insulti. Teresa Bellanova, Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Colpevole di sostenere la necessarietà di regolamentazione temporanea dei braccianti agricoli. Quelli che lavorano nei campi senza contratto e ci portano la frutta e verdura in tavola ogni giorno. Anche in questo caso, quando si tirano in ballo i migranti, il web si è infuriato, come sempre, a modo suo.

Chi sono gli odiatori?
Volendo tracciare in modo molto blando, e senza nessuna ricerca metodologica e sociale, il profilo generico di queste persone, possiamo dire che la grande maggioranza appartiene ad un range di età che va dai 40 ai 65 anni, uomini e donne. Ma ci sono anche molti giovani che manifestano le loro idee ed opinioni in modo poco pacato e consono ad uno spazio pubblico.
Il web è uno spazio pubblico, e come tale arena di conflitti. Tutti possiamo commentare, dialogare, discutere con tutti su qualsiasi argomento . La piazza virtuale in cui ci esponiamo, ha portato molti a credere che siamo immuni da qualsiasi tipo di responsabilità. I social ci hanno deresponsabilizzato. Possiamo dire tutto quello che vogliamo.
Penso così, dunque questa è la mia opinione e sono libero/a di dire e pensare cosa voglio. Sono un libero pensatore. Siamo in democrazia.
No. Non funziona così. La democrazia non è essere liberi di sputare il veleno dell’odio e rimanere immuni. Non prendersi le responsabilità delle proprie azioni. È rispetto reciproco, tolleranza. È educazione. Pensate cosa succederebbe se ognuno di noi decidesse di urlare e insultare la gente al bar o in un qualsiasi luogo pubblico perché non la pensa come noi.
Faremmo una figuraccia, e magari ci penseremmo non due, ma un milione di volte prima di fare un gesto del genere. Ecco, questo sui social non succede. Molto spesso si commenta, senza leggere le notizie, senza approfondirle, non si chiede scusa, si insulta e basta. Si spegne il pc e si torna a fare quello che si stava facendo prima.
Non si gioisce alla vita. Si augura la morte. Si minaccia. Con un profilo pubblico, con tanto di nome e cognome e foto dei nipotini sorridenti in copertina.

Informazione intrisa d’odio
Poi ci sono coloro che hanno fatto della comunicazione ostile e della disinformazione la propria professione. C’è sempre chi pensa che Feltri o Sallusti siano dei liberi pensatori, direttori di giornali che cavalcano l’onda di quei commenti per ricavarne articoli.

Le legioni di imbecilli che popolano il web, possono essere le stesse persone che incontriamo ogni giorno in fila al supermercato, quelli che ci servivano il caffè al banco, quando potevamo chiederlo. Il nostro vicino di casa che ci sorride sempre sul pianerottolo. La nostra ex insegnante di scienze delle elementari ora in pensione.
Questo è la banalità del male. Purtroppo colpisce chiunque.