Situazione. La mia ragazza mi tagga su Facebook in un bellissimo post. Si tratta di una pagina di viaggi, quelli che ora non si possono fare. In questo caso, la foto è stupenda: una colazione a Istanbul, i caffè bollenti, alcune fette di pane, delle salse e la grande Basilica di Santa Sofia sullo sfondo. Vado per mettere il like. Che in questo tempo di quarantena, di reclusione, è diventato il modo, seppur effimero e sfuggente, di sentirsi più vicini. O meglio, il like in questo caso è una richiesta spasmodica, quasi frustrata: «Ehi, vorrei tanto essere lì con te ma, lo sappiamo, non è possibile». Vorrei, ma non posso.
Dunque, vado per cliccare, per aggiungere il mio “pollice in su”. O magari un cuore, perché le voglio bene. Ma tra le reactions che Facebook mi propone c’è qualcosa di nuovo: l’abbraccio. Una faccina sorridente, due piccole braccia che avvolgono un cuore. È l’ultima trovata di quel genio – del male, per chi vuole – quale è Mark Zuckerberg. Scelgo l’abbraccio all’istante, non esito un secondo.
C’è da riflettere su questo nuovo, all’apparenza banale, aggiornamento di Facebook. Perché è l’ultimo di una serie interessante: prima i cuori, poi la faccina arrabbiata, quindi la risata, infine l’abbraccio.

«Il mero mi-piace rappresenta il grado zero dell’esperienza», dice il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han ne “L’espulsione dell’altro“, un bellissimo libretto pubblicato nel 2016 per la casa editrice Nottetempo. Il semplice like è diventato nel corso degli anni qualcosa di quasi insignificante. Ha perso di valore, si è “inflazionato“. Talmente tanto da richiedere qualcosa di più. Qualcosa che amplifichi la nostra relazione online. O che la renda sempre più simile a una relazione faccia a faccia. Soprattutto nella quarantena, la reclusione forzata causata dal Coronavirus, dove tutte i rapporti si fanno più rarefatti.
L’insufficienza di una videochiamata
I social ci vengono incontro, ci assecondano. Facebook aggiunge gli abbracci, le piattaforme per videochiamate si moltiplicano. Tanto che Skype sembra ormai superato, sostituito dai vari Zoom, Teams, Hangout, Houseparty e chi più ne ha più ne metta. Siccome gli spazi di contatto immediato diminuiscono, proliferano i luoghi digitali. Ma alla fine non sono così tutti uguali? «Dai, oggi proviamo Zoom», «Domani ci vediamo su Hangout», «Ma perché non ci troviamo direttamente su Skype?». Tanti luoghi virtuali, alla fin fine tutti molto simili, e insufficienti a colmare il vuoto di relazioni.
All’interno del libro di Han “Nello sciame, visioni del digitale” (Nottetempo, 2015), l’autore riporta un estratto di un articolo apparso nel Süddeutsche zeitung magazin nel dicembre 2013. Questo stralcio parla di Skype, ma potrebbe essere esteso a qualsiasi piattaforma di videochiamate. E coglie con estrema accuratezza il nodo del nostro discorso.
La videochiamata dà l’illusione della presenza e certamente ha reso più sopportabile la separazione nello spazio tra gli innamorati. Tuttavia, la distanza residua è sempre percettibile – tanto più chiaramente, forse, in un piccolo slittamento: su Skype infatti non è possibile guardarsi a vicenda. Se si guarda negli occhi il volto nello schermo, l’altro crede che si stia guardando leggermente più in basso, perché l’obiettivo è installato sul bordo superiore del computer. La piacevole particolarità dell’incontro diretto, per cui osservare qualcuno equivale sempre anche a essere osservati, ha ceduto il posto a un’asimmetria dello sguardo. Grazie a Skype possiamo essere vicini, ventiquattrore al giorno, ma continuiamo reciprocamente a perderci di vista

Le ragioni del cuore
Questo pezzo di articolo mette a fuoco il problema. La tecnologia ci viene incontro, ma non sostituirà mai le nostre relazioni. L’abbraccio di Facebook è l’ultimo, forse frustrato, tentativo di sopperire a una profonda mancanza di contatto, di rapporti. Certo, qualche boomer, qualche poco attento avventore di Facebook, mi potrebbe dire: «Ringrazia che ci sono queste nuove tecnologie, giovanotto, qualche tempo fa non vi sareste potuti vedere!».
Certo, giustissimo. A rigor di logica non fa una grinza. Ma anche meno, grazie. Perché c’è un’altra suggestione importante, che smonta questa cinica e positivistica idea dei rapporti digitali come soluzione alla distanza. «Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce», diceva Blaise Pascal in “Pensieri” (Einaudi, 1967). La logica tutta razionale dell’incontro digitale non potrà mai sostituire le “ragioni del cuore”. E un abbraccio su Facebook è l’ennesimo, vano tentativo di rendere più dolce la solitudine di abbracci (reali) che non ci sono più.