In questo momento di emergenza sanitaria globale, ci sono alcune potenze che non sono rimaste in quarantena come i loro cittadini. La crisi in atto ha infatti reso disponibili delle risorse importanti da usare sullo scacchiere internazionale.
La salute è il bene pubblico fondamentale, la capacità di tutelarlo all’interno e all’esterno dei propri confini ha influenzato il prestigio degli Stati a livello globale.
Gli aiuti sanitari ed economici hanno giovato al prestigio di alcuni paesi, ma sull’esito della partita hanno influito tempestività e narrazioni più degli aiuti.
Vincitori e vinti
La credibilità degli attori occidentali è uscita devastata dalla sfida contro il Covid19. In piena crisi, i governi europei hanno rinnegato la fittizia parvenza di unità per svelare un clima da tutti contro tutti. Schengen è stato sospeso, le singole cancellerie hanno imposto la contingentazione di strumenti sanitari considerati cruciali e adottato misure drammaticamente dissimili tra loro.
Non è andata meglio agli Stati Uniti, talmente rivolti al fronte interno da sminuire iniziative potenzialmente utili a rilanciarne l’immagine. È il caso degli aiuti all’Italia arrivati con un biglietto di auguri sui generis del tipo “Inviamo la roba che non ci serve”.
Tra le grandi potenze, la vincitrice è la Cina: non tanto per l’entità degli aiuti, ma perché si è mediaticamente accreditata come potenza altruista. A Roma, i medici cinesi lavorano fianco a fianco con i responsabili dello Spallanzani. Gli esperti cinesi sono considerati l’autorità da seguire e desta preoccupazione il fatto che a loro dire, le strade di Roma siano ancora popolate. Gli abitanti della Chinatown di Milano donano mascherine agli spazzini. Il successo cinese non si è fermato a Roma: poco più di una settimana fa, il presidente serbo Aleksander Vučić ha affermato che Belgrado avrebbe seguito pedissequamente le indicazioni della Cina nella gestione dell’emergenza coronavirus.

https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/03/19/cina-epidemia-due-volti
Leadership e soft power
Il successo mediatico della Cina potrebbe influenzare un indicatore importante: il soft power, dove la potenza cinese era tradizionalmente debole.
Joseph Nye elaborò la teoria del soft power nel 1990. L’intenzione era quella di descrivere l’influenza che uno stato può esercitare su altri ricorrendo alla propria capacità attrattiva, mediante strumenti culturali e ideologici. Oggi è generalmente accettato che un leader globale non possa mantenere la propria posizione contando solo sull’hard power, ovvero sulla propria forza militare ed economica. È necessario che la sua leadership sia accettata, dunque che lo Stato leader sia riconosciuto come degno di rivestire il ruolo assunto. L’accettazione della leadership globale avviene perché l’attore prestigioso è in grado di fornire dei beni pubblici agli attori minori e per un desiderio di imitazione.
I Limiti del Soft Power Cinese
Ecco spiegato perché la Cina è stata tradizionalmente uno stato con forti difficoltà nell’ambito del soft power: il sistema politico autoritario della dittatura del Partito Comunista, le violazioni dei diritti umani – in particolare nei confronti di minoranze, come nel caso dei musulmani Uyghur -, una società poco dinamica a causa dei vincoli imposti dal paese… Sono tutti elementi che impediscono la scalata cinese nelle prime posizioni di questa classifica. Per questo motivo, per ora abbiamo sempre trovato la Cina in fondo alla lista top 30 dei paesi con maggior soft power, precedendo solo Ungheria, Turchia e Russia (2019).
La Cina ha investito notevoli risorse per incrementare il proprio soft power, eppure, negli anni passati, sembrava aver perso posizioni perfino nelle aree in cui ha investito maggiormente. Il problema è che Pechino considera il soft power come un bene da acquistare, ma rispetto e prestigio non sempre hanno un prezzo in yuan. Di recente, la Cina ha però fatto degli importanti passi avanti. Ora il paese può contare su soft-weapons poderose e interessanti.

https://foreignpolicy.com/2019/12/03/uighurs-xinjiang-china-cultural-genocide-international-criminal-court/
Alla ricerca della legittimità: cooperazione e infrastrutture
Innanzitutto la Cina non vincola la propria assistenza economica a requisiti istituzionali come fa l’Occidente, attirando così l’interesse dei paesi in via di sviluppo. Ciò ha permesso che Pechino divenisse un partner irrinunciabile nel contesto africano e in alcuni casi anche in America Latina. In quest’ultimo caso, la Cina è un giocatore ammirato sia da stati apertamente autoritari come il Venezuela, sia da paesi in tutto e per tutto occidentali, come il Cile – dove la partnership economica con la Cina ha superato perfino il tradizionale primato statunitense.
Gli investimenti cinesi all’estero superano la quantità di denaro che Stati Uniti e Unione Sovietica misero in campo durante la Guerra Fredda: 50 miliardi per la Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture, 41 miliardi per la Nuova Banca di Sviluppo, 40 miliardi per la Via della Seta terrestre, e 25 miliardi per la Via della Seta marittima.
L’arma culturale
La cultura cinese offre a Pechino altri margini di intervento: la Cina può coniugare la propria storia e il proprio presente attraverso messaggi capaci di attrarre Stati socialisti, ex colonie e Stati legati alla cultura confuciana.
Nonostante l’influenza economica e culturale, la performance cinese in termini di soft power è ancora lontana dall’eguagliare i rivali occidentali. La diplomazia sanitaria e il successo mediatico che l’ha accompagnata faranno la differenza in favore della Cina?

https://www.unitremilano.it/898/cronaca/capodanno-cinese-emergenza-coronavirus-annullata-la-parata.html
Il modello Cubano
La diplomazia sanitaria non è uno strumento nuovo. Cuba l’ha adoperata fin dalla sua fondazione, a cominciare dal terremoto in Cile del 1960, ottenendo così il riconoscimento dell’OMS e perfino del rivale nordamericano durante l’amministrazione Obama, quando Cuba fu omaggiata come uno Stato da cui imparare in termini di intervento umanitario.
Il Sistema Sanitario Cubano
L’amministrazione rivoluzionaria si è dedicata fin da subito alla formazione di professionisti nel settore sanitario e il risultato è stato sorprendente. Nel 2011, l’isola poteva contare su un rapporto medici – popolazione totale di 1:150. Lo stesso rapporto è di un medico ogni 330 abitanti in Europa Occidentale e un medico ogni 417 abitanti negli Stati Uniti. Il numero dei medici è cresciuto ben oltre il fabbisogno di Cuba, con l’obiettivo di esportare questa forza lavoro come fosse una materia prima. L’opinione dei medici che ne hanno approfittato per fuggire dal marchio made in Cuba non è positiva:
Siamo la forza lavoro schiavile più qualificata del mondo.
La Diplomazia Medica
I medici cubani che rimangono a Cuba guadagnano poco più di 20 dollari statunitensi: meno di quanto può guadagnare un tassista. All’estero possono guadagnare di più, soprattutto in termini di beni materiali (che eccezionalmente il governo cubano permette di importare); ma sono impossibilitati a trasferirsi con il nucleo famigliare, che rimane invece ostaggio del regime per evitare fughe. Solitamente, il personale cubano alloggia nelle zone più povere e violente dei paesi in via di sviluppo, rischiando frequentemente la vita.
Il prestigio che Cuba ottiene attraverso questa soft-army è ben maggiore rispetto ai benefici ricavati dal personale medico. Nel decennio passato, stipendiati con i proventi del petrolio venezuelano, i medici cubani sono stati usati in tutta l’America Latina. In Africa, il finanziatore delle missioni mediche cubane è il Sud Africa. Perfino nelle isole del Pacifico che potrebbero contare sul sostegno australiano, i medici cubani sono ben accetti poiché meno costosi: trattati dunque, ancora una volta, alla stregua di merce da esportare.
Il governo cubano offrì i propri aiuti perfino all’amministrazione Bush, immediatamente dopo il disastro dell’uragano Katrina. Al di là del rifiuto dell’amministrazione statunitense, con la sua offerta Fidel Castro è riuscito a propagandare l’immagine di un Davide buono e misericordioso nei confronti di un Golia egoista e opprimente.

https://www.ilpost.it/2020/03/22/medici-infermieri-cubani-arriveranno-lombardia/
Se guardiamo oltre gli elogi ricevuti, risulta evidente che il modello cubano sia possibile solo in un contesto dittatoriale. La strategia della diplomazia sanitaria ha permesso la sopravvivenza del castrismo, captando voti all’interno delle Nazioni Unite e apportando liquidità al paese. Un modello simile sviluppato con le risorse cinesi potrebbe fare la fortuna del nuovo gigante in termini di soft power, favorendone globalmente il successo.