Come il Coronavirus ha messo in evidenza il divario Nord-Sud
Il Covid-19, ormai da qualche settimana ufficialmente definito una pandemia dall’OMS, sta mettendo in ginocchio il mondo intero. Il mostro invisibile che sta attanagliando il nostro secolo, non risparmia quasi nessun paese: dagli Stati Uniti, che hanno superato la Cina per numero di contagi e decessi, al Regno Unito, in cui dapprima è stata invocata la cosiddetta “immunità di gregge” per poi fare un passo indietro e annunciare il “lockdown”; dalla Russia, dove la diffusione appare al momento contenuta, sino ad arrivare in Israele e nei territori palestinesi, da sempre in guerra tra loro e che ora sono chiamati ad affrontare un nemico comune.

La paura è il sentimento che più di tutti pervade i cittadini del mondo in questo momento. A ciò si aggiunge la preoccupazione dei governi, chiamati a far fronte ad un’emergenza che, da più parti, è stata definita come la più grande dal secondo dopoguerra. Il virus corre veloce e i contagi aumentano di giorno in giorno, così come il numero dei morti; si teme per i sistemi sanitari, in alcuni Paesi già al collasso, e per i problemi legati all’economia che ne conseguono.
Il Covid-19 in Italia
Dopo i casi isolati dei due turisti cinesi ricoverati all’Istituto Spallanzani di Roma a gennaio, l’emergenza scoppia in Italia in seguito ai casi che coinvolgono le cittadine di Codogno e Vo’ Euganeo a partire dal 18 febbraio. Vengono dunque prese le prime misure volte al contenimento del virus, inizialmente limitate alle sole regioni del Nord Italia più colpite. Ma ciò non è sufficiente e quindi si arriva al DPCM del 9 marzo 2020 #iorestoacasa, che fa dell’Italia un’unica zona protetta.
L’esodo dal Nord al Sud
Nonostante le raccomandazioni di evitare gli spostamenti, salvo per comprovati motivi, le immagini dell’esodo dei cittadini dal Nord al Sud Italia fanno il giro di telegiornali, web e chat whatsapp, alimentando la preoccupazione e l’allerta di un Mezzogiorno che, inerte, osserva quanto sta succedendo nella restante parte del Paese. Gli appelli accorati per fermare queste ingenti masse di viaggiatori arrivano in primo luogo dai Governatori del Sud, i quali, prima cercano di fare leva sul senso civico dei loro concittadini, che da anni sono stati costretti a trasferirsi altrove, affinché non “portino il virus nelle loro terre natie”, e poi si rivolgono direttamente alle Istituzioni. Inoltre, gli appelli arrivano anche da tutti quei cittadini che, in un Sud abbandonato e disilluso, hanno continuato a vivere, e che ora guardano con occhi impauriti i propri corregionali che stanno rientrando, percepiti come una minaccia.

Fonte: Dipartimento della Protezione Civile – http://opendatadpc.maps.arcgis.com/apps/opsdashboard/index.html#/b0c68bce2cce478eaac82fe38d4138b1
L’allarme è alto e continua ad esserlo, e le regioni mettono in campo tutto ciò che è a loro disposizione per limitare il diffondersi del virus: ordinanze su ordinanze in cui impongono l’isolamento domiciliare obbligatorio per chi arriva da su, pena anche l’arresto per chi deciderà di non attenersi alle regole. Dalle ospitate in vari programmi televisivi sino alle dirette sui social, i Governatori dicono a voce unanime, aldilà di qualsiasi colore politico, che la loro paura è quella che il sistema sanitario possa non reggere. Esemplificative a tal proposito sono le parole di Michele Emiliano, Presidente della regione Puglia, a pochi giorni dai primi ingenti rientri.
Il sistema è sovraccarico. Tanti sono in autoquarantena. Rispetto all’Emilia Romagna, a parità di abitanti abbiamo 15 mila dipendenti in meno e 250 milioni di euro in meno ogni anno di budget dal Fondo sanitario nazionale e dalla mobilità passiva. Questo significa che dobbiamo fare molta attenzione.
Se l’epidemia fosse scoppiata al Sud sarebbe stata un’ecatombe…. È il frutto del disinvestimento nella sanità pubblica.
Tuona invece, in un’intervista al Corriere della Sera, il Ministro del Mezzogiorno Giuseppe Provenzano, che ora teme un vero e proprio collasso sociale.
Michele Emiliano – Governatore della Regione Puglia Giuseppe Provenzano – Ministro del Mezzogiorno
In queste affermazioni risiede il nodo centrale della questione: la consapevolezza che gli ospedali del Mezzogiorno, dopo anni di tagli e commissariamenti, non hanno i mezzi né i fondi per affrontare un’emergenza di tale calibro. Il virus ha riportato a galla tutte le problematiche legate al nostro sistema sanitario nazionale. Problematiche che ora siamo chiamati ad affrontare, perché non c’è più tempo da perdere.
Competenze in materia di sanità
Il servizio sanitario nazionale italiano è stato istituito con la l. 23 dic. 1978 nr. 833, volta a dare piena attuazione all’articolo 32 della Costituzione italiana, che sancisce il “Diritto alla salute” di tutti gli individui. Nel corso degli anni le riforme legate al regionalismo del nostro ordinamento hanno via via modificato anche il servizio sanitario stesso. Ad oggi allo Stato compete la programmazione e il finanziamento del sistema sanitario, mentre le Regioni godono di una competenza esclusiva nella regolamentazione e gestione dei servizi sanitari.
L’eterogeneità che caratterizza le varie regioni italiane, le differenze strutturali e di gestione politica, l’innovazione sanitaria e i progetti di avanguardia che hanno caratterizzato alcune parti del Paese lasciandone indietro altre, la mobilità sanitaria (il fenomeno che comporta lo spostamento dei cittadini alla ricerca di cure migliori) sono tutte ragioni che hanno portato ad ampliare il divario tra il Nord e il Sud, facendo così vacillare il sistema sanitario e portando alla luce dei tentativi di ri-centralizzazione.
Un divario da colmare
Nella Relazione 2019 presentata dal Cnel al Parlamento emerge come la spesa sanitaria pubblica pro capite sia molto più elevata al Nord rispetto al Sud. Un esempio pratico sono i 2.255 euro pro capite a Bolzano a fronte di 1.725 euro in Calabria. Il Veneto è la prima regione d’Italia nella classifica sui livelli essenziali di assistenza (Lea), stilata dal Ministero della Salute, mentre la Calabria risulta ultima. Non incoraggiano nemmeno i dati sulla mobilità sanitaria, che sottolineano come i cittadini del Sud continuino a muoversi al fine di ricevere dei trattamenti sanitari migliori, comportando così, stando alle stime de Il Sole 24 Ore, uno spostamento di 4,6 miliardi di euro dal Mezzogiorno alle regioni del Nord.
Le tante problematicità legate alla sanità italiana sono state acuite dall’insorgere dell’emergenza del Covid-19 e probabilmente ciò ci ha portato a un punto di non ritorno. In questi ultimi giorni il gruppo consiliare del PD alla regione Calabria ha chiesto, addirittura, che venga abolito il cosiddetto “Decreto Calabria”, istituto nel maggio del 2019 con lo scopo di dare maggiori poteri al commissario per l’attuazione del Piano di rientro, e di conseguenza che venga abolito il commissariamento della sanità regionale. Ciò perché, come sostengono i consiglieri stessi, ci si trova in assenza di qualsiasi cosa (dalle strutture ospedaliere vere e proprie, ai posti in terapia intensiva, agli operatori sanitari) e la Calabria in quanto Italia non merita questo.
La situazione drammatica che l’Italia sta affrontando in questi giorni è aggravata, dunque, dalla crescente preoccupazione di una “bomba” sanitaria che potrebbe scoppiare da un momento all’altro nel Sud del nostro Bel Paese .Se nel breve periodo si stanno mettendo in campo tutte le risorse disponibili per cercare di essere il più preparati possibile ad un rapido diffondersi dei contagi, è necessario, una volta terminata tale emergenza, mettere in campo delle politiche mirate e strutturate per risolvere e migliorare la situazione della sanità meridionale.