• Skip to primary navigation
  • Skip to content
  • Skip to footer

Schegge

Magazine

Menù

  • Categorie
    • Politica
    • Culture
    • Musica
    • Illustrazioni
    • Cinema
    • Sport
    • Letteratura
    • Innovazioni
    • Arte
  • Contatti
  • Chi sono le Schegge?
  • Unisciti alle Schegge

9 Marzo 2020 / Culture

Tinder, ovvero come ho imparato ad odiare il libertinismo

Love me tender – amami teneramente – cantava Elvis. Ed è quasi fastidiosa la consonanza tra tender e Tinder, perché Tinder di tenero non ha proprio nulla. Mi vedi, ti piaccio, ti scelgo, facciamo sesso. Questo il meccanismo sillogistico che divide l’umanità a metà tra i “finalmente rendiamo semplici i rapporti sessuali” ed i “è solo uno squallido gioco di puttane e papponi”.

Il mio esperimento sociologico su Tinder è durato poco più di due mesi. Appena fuori da una relazione lunga più o meno tre anni, avevo deciso di provarci: mi sarei iscritta per conoscere nuove persone e uscire dallo stallo in cui inevitabilmente ci si trova alla fine di un rapporto. Perché se mentre stai insieme ad una persona ti sembra di subire il fascino di almeno uno sconosciuto o semi-sconosciuto al giorno, quando rompi con quella persona allora pensi che la vita non sarà mai più così generosa da offrirti l’opportunità di incontrare qualcuno di altrettanto interessante.

Non è stato semplice. Non perché mi sentissi incatenata a chissà quale pilastro di pudicizia, ho sempre pensato che il sesso non sia e non debba essere un tabù. La difficoltà stava piuttosto nel rovesciare qualsiasi principio che nei secoli le generazioni tramandano e a cui le mie orecchie si erano ormai affezionate: l’abito non fa il monaco; l’amore è cieco; in amore vince chi fugge; e giù di lì.

fonte: Brandjournalism.it

Così ci ho messo un po’ a convincermi ad iscrivermi. In primo luogo perché, nonostante la mia generazione si descriva e io stessa mi reputi una riadattatrice contemporanea del libertinismo, quando c’è di mezzo il sesso la paura di essere fraintesi è sempre lì, a ticchettare in un angolo della testa per ricordarti che in fondo decostruire quella storia delle puttane e dei papponi non è così semplice. 


In secondo luogo, il motivo vero e principale della mia iniziale riluttanza è che odio i primi appuntamenti, anzi detesto le prime settimane di qualsiasi tipo di relazione: quando ti trovi davanti una persona che non conosci o conosci appena e cerchi di capire se hai voglia di conoscerla. E tu invece hai voglia di conoscermi? Mi angoscia tutta l’ansia da non si sa bene quale prestazione. Se la persona che incontrerai non l’hai mai sentita parlare allora speri abbia una voce sensuale o perlomeno gradevole, e se non l’hai mai vista in carne ed ossa allora speri con tutti i tuoi organi che abbia un odore – se non proprio da farti girare la testa – almeno piacevole. Se così non fosse, devi avere pronta la scusa per mollare tutto e tornare a casa.

Ma io avevo deciso che dovevo farlo: uscire dallo stallo della mia relazione finita, rivendicare il sesso allo stato di apoteosi della libertà e dell’autoaffermazione. 

Ho creato un profilo e ci ho messo un po’ a capire come funzionasse, ero sopraffatta dalla semplicità del gesto. Qui swipe right e qui swipe left. 

Dopo qualche minuto di quell’isterico swipe right/swipe left mi sono resa conto che non stavo cercando sesso, perché tanto non avrei fatto sesso con una persona che non trovassi interessante. Cercavo persone con cui eventualmente avrei potuto fare sesso.

Dunque la ricerca divenne più complicata: da un paio di foto, un nome, un numero anagrafico e ogni tanto un’indicazione universitaria (i profili con le descrizioni filosofiche e i rebus di emoji li saltavo a piè pari) avrei dovuto capire se il tizio potesse essere all’altezza delle mie aspettative. E avevo la facoltà di crearmele da zero queste aspettative: lo voglio alto, moro, scuro, intelligente, artista, che suoni almeno uno strumento musicale, che ami Hitchcock e sia convinto che Lynch sia sopravvalutato, che abbia bei piedi e che sappia almeno una lingua straniera, anzi vorrei proprio parlasse l’arabo perché dicono sia la lingua del futuro e chissà che con un colpo di fortuna un giorno potremo trovarci in una ricchissima villa in Qatar. Insomma tu pensi di cercare sesso ma in realtà costruisci a tavolino l’immagine della persona con cui vorresti fare sesso. 

fonte: reddit.com

Sugli swipe right che poi sono diventati match avrei molto da dire, dal momento che in qualche modo rappresentano una vetrina sugli esemplari del genere (nel mio caso) maschile. Come quando sei nella sala d’attesa del dentista e guardandoti intorno riconosci tutti gli stereotipi di essere umano, Tinder ti dà l’occasione di classificare tutti i tipi di approcci che ti aspetti da qualcuno che cerca di capire se ne hai mezza. Ti capita chi è molto diretto, chi ci mette settimane a chiederti di uscire, chi gioca a fare ghosting perfino su un’app di incontri (sul serio?).

Poi capita, a me è capitato, di vedere e conoscere persone effettivamente interessanti, di passare belle serate e anzi di condividere più di qualche bella serata.

E lì una domanda te la fai, perché se tutto inizia con uno swipe right allora tutto può finire con uno swipe left. Ti chiedi: che rapporto è quello che si instaura tra due swipe right? Qual è il livello di intensità che potrà mai raggiungere? 

Amore liquido, lo chiamava Bauman. Un amore senza legami. Una società composta da individui incapaci di mantenere legami. Perché quale legame ci sentiremmo mai in dovere di approfondire se ci raccontiamo che uno swipe right vale l’altro? L’idea di intercambiabilità che ci accompagna ogni giorno in ogni ambito, vale forse anche per il sesso e per l’amore?

Circondàti da scelte poliopzionali in qualunque cosa per qualsiasi cosa, ci siamo abituati all’idea che davanti alla noia avremo sempre a disposizione non una ma infinite vie d’uscita. Perfino ai semafori rossi avrai l’imbarazzo della scelta e alla fine deciderai di scaldare la tua Iqos pur di non stare senza far niente. Così il sesso: se il tipo ti annoia perché ci sta mettendo più di due giorni per decidere se concederti il piacere di averlo, allora farai bene a scaldare la tua Iqos mentre selezioni tra la rosa dei prescelti il prossimo della lista.

Il mio esperimento sociologico su Tinder è durato poco più di due mesi perché ad un certo punto ho realizzato che il mio non era un semplice riadattamento del libertinismo. Avevo voluto assoggettarmi agli usi e ai costumi di una società che ci bombarda di immagini e ci fa credere di poter scegliere quella che vogliamo. Avevo ridotto la mia capacità di approccio al sesso a tre foto, un nome e la mia età anagrafica con la pretesa però di sembrare interessante e di intavolare conversazioni di arte e filosofia.

Altro che apoteosi di libertà e autoaffermazione, avevo deciso di valere l’intercambiabilità di un gesto portando all’estremo il cinismo di chi ad oggi ci racconta che se una cosa non ci piace possiamo buttarla sul fondo dell’Oceano e far finta non sia mai esistita. Se una notizia non ci piace, possiamo cambiare canale, chiudere il giornale e far finta non sia mai esistita. Se un commento non ci piace, possiamo bloccarne l’autore e far finta che non sia mai esistito. Se una persona non ci piace, possiamo passare al prossimo swipe right e far finta che non sia mai esistita.

Il dubbio amletico che a questo punto dovremmo porci è: possiamo solidificare l’amore liquido di Bauman? Forse. E se il concetto di tolleranza non è quello adatto perché presuppone intrinsecamente quello di sopportazione, probabilmente un passo verso lo stato solido del sesso e dell’amore lo si fa cercando e dando comprensione, quella che Bauman chiamava compassione.

Il mio profilo Tinder l’ho chiuso da tempo, quando ho capito di voler continuare a fare del piacere mentale un piacere fisico e non viceversa. Quando ho realizzato che il punto è fare anche delle brevi storie di letto piaceri unici e non intercambiabili.

«Pensai che tutto dovesse cedere di fronte a me, che l’intero universo dovesse lusingare i miei capricci, e che io avessi il diritto di soddisfarli a volontà», scriveva De Sade. Era la fine del ‘700.

Share this

Previous Post: « Super Tuesday: Come sono cambiate le sorti della campagna elettorale americana
Next Post: Dieci donne che hanno cambiato il mondo »

You may also like

  • 14 Dicembre 2018 / Arte

    Pensieri di un innamorato cronico – pt. 2

  • 30 Giugno 2020 / Opinioni

    How to: smettere di autosabotarsi e iniziare a vivere

  • 21 Gennaio 2021 / Politica

    “Servono investimenti chiari e lungimiranti per i giovani”

  • Newsletter

  • Follow Me

  • Top 3

    • Politica
    • Uncategorized
    • Culture

Riguardo Ludovica Grimaldi

Nata a Latina, evasa a 19 anni per cercare cosmopolitismo e trovarlo a Forlì. Già laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche, ora frequento Mass Media e Politica.
Al momento studio negli Stati Uniti e mi diverto a smascherarne le contraddizioni.
Cerco di essere obiettiva, ci riesco quasi mai. Fa parte del gioco, in ogni caso “it depends, and it’s complicated”.

Footer

Facebook – Instagram

Iscriviti alla newsletter

S

© 2023 ScheggeMLEKOSHI

Newsletter

Iscriviti alla newsletter e non perdere i nuovi articoli