Nonostante il Coronavirus, gli Usa continuano a vivere il 2020 per quello che è: l’anno delle elezioni presidenziali.
Il partito repubblicano appare sicuro della sua candidatura, che ovviamente sarà quella del Presidente uscente. Per i democratici invece, è ancora incerto il nome di colui che sfiderà Trump alle elezioni del 3 Novembre. Facciamo il punto della situazione per capire cosa sta succedendo in queste ore e come stanno proseguendo le primarie.
Le primarie e i caucus
Il candidato che correrà per il ruolo di Presidente verrà nominato ufficialmente da delegati alla convention nazionale che entrambi i partiti terranno in estate. In questi giorni, e fino alla data della convention, nei cinquanta Stati si stanno tenendo le elezioni primarie o i caucus per nominare i delegati.
Particolarmente interessante è il sistema di voto. Ogni Stato al suo interno decide se tenere le primarie o i caucus. Mentre il meccanismo di voto delle primarie appare più che scontato (anche se poi ogni Stato decide se lasciarle aperte a tutti o solo agli iscritti al partito), il sistema di voto dei caucus non è a noi molto familiare. Pochissimi sono gli Stati che utilizzano questo particolarissimo sistema. Perché se per votare alle primarie occorre solo il tempo di una ics, per votare ai caucus bisogna prendersi il tempo necessario per partecipare ad una vera e propria assemblea.
Il meccanismo dei caucus
Nel caso dei caucus dei democratici, per poter partecipare è necessario presentarsi nel luogo dell’assemblea ad un orario ben definito. Una volta lì, i sostenitori di ogni candidato si aggregano in gruppo per essere contati. I candidati che non superano la soglia del 15% delle preferenze, non vanno oltre il primo conteggio. I loro sostenitori posso poi decidere se andare a casa, o se aggregarsi ad un altro gruppo. Si tratta di un sistema di voto che potrebbe creare non poche difficoltà, soprattutto nella fase di conteggio. I caucus del 3 febbraio in Iowa ne sono l’esempio: i risultati ufficiali sono stati pubblicati dopo quasi una settimana.

Caucus o Primarie che siano, ogni candidato che ha ottenuto più del 15% delle preferenze conquista in proporzione ai voti ricevuti un numero di delegati da inviare alla convention nazionale.
I candidati
Le possibilità di scelta per gli elettori democratici sono ampie, considerando il numero dei candidati alla Presidenza. Ad oggi, sono solo 6 contro i 28 dell’inizio della campagna elettorale. L’elevato numero di candidati potrebbe spaccare gli elettori, che si troverebbero a dover scegliere tra candidati con proposte molto simili.
L’ala moderata è quella che ha subito maggiormente le conseguenze di questa divisione. I candidati considerati di centro come Pete Buttigieg (ritiratosi dalla corsa poche ore fa) e Amy Klobuchar hanno difficoltà ad emergere dalla mischia, poiché non hanno una posizione che li distingua facilmente dagli altri. Nessuno di questi è riuscito mai a superare il 15% nei sondaggi nazionali.
Lo stesso Joe Biden, il favorito della prima ora, ha subito un drastico calo da cui si è ripreso solo dopo le primarie in South Carolina del 29 febbraio.
I due candidati più a sinistra sono invece il Senatore del Vermont Bernie Sanders e la senatrice Elizabeth Warren. Sono accomunati da una proposta politica che riguarda cambiamenti strutturali della società americana, come il sistema sanitario gratuito e la cancellazione del debito universitario. Mentre la Warren è calata nel gradimento, Sanders risulta oggi il candidato favorito, in grado di battere Biden e aggiudicarsi la nomina.
Altro candidato da tener d’occhio è Mike Bloomberg, entrato nella competizione solo a dicembre.
I primi risultati
Sono già quattro gli Stati che hanno votato: Iowa, New Hampshire, Nevada e South Carolina. Ma se un terzo dei delegati verrà eletto durante il Super Tuesday il 3 Marzo, dove a votare saranno 14 Stati più la Samoa Americana, l’importanza del voto in questi primi quattro Stati è data dalla spinta e popolarità che conferisce ai candidati vincitori.
Bernie Sanders fino ad oggi è riuscito a trionfare in tutti gli Stati, eccetto il South Carolina, Stato a maggioranza afroamericana, dove invece Biden ha trovato nuova linfa vitale per la propria campagna. Egli rimane infatti, ancora, l’unico candidato con un forte sostegno da parte delle comunità non bianche. Inoltre, recenti sondaggi mostrano un desiderio di ritorno alle politiche di Obama, di cui Biden indirettamente è il portatore essendo stato il vice presidente della precedente amministrazione democratica.
Dopo il Super Tuesday
Dopo martedì la situazione sarà maggiormente delineata e sapremo con certezza chi avrà reali possibilità di essere eletto. In California, dove in palio c’è l’assegnazione di 415 delegati, Sanders è dato al 35.5% delle preferenze con un vantaggio su Warren del 18.5% e del 24.5% su Biden.
Anche in Texas, l’altro grande Stato, Sanders mantiene il suo vantaggio – anche se limato dalla presenza di Bloomberg, che martedì entrerà per la prima volta nella competizione elettorale. L’imprenditore ed ex sindaco di New York, infatti, ha messo in atto una strategia mai vista prima: ha deciso di non concorrere nei primi quattro Stati ed utilizzare le sue risorse, più di 400 milioni di dollari, negli Stati del Super Tuesday.
Le sorprese comunque non finiscono dopo martedì. Se Sanders dovesse risultare il favorito è necessario che ottenga il 51% dei delegati per poter essere nominato alla convention democratica. Al contrario invece, il candidato sarà scelto da delegati direttamente nominati dalla direzione del partito. Questo tipo di situazione potrebbe non favorire Sanders, essendo quest’ultimo non direttamente iscritto al partito democratico. L’essersi autodefinito socialista inoltre, spaventa non solo l’establishment del partito ma anche gli elettori, alcuni dei quali ritengono che con le sue posizioni politiche sarà difficile battere Trump.