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25 Febbraio 2020 / Opinioni

Conviene a Matteo Renzi far cadere il governo?

Meticoloso con le trame, pericoloso per il paese: Renzi tenta di far fruttare la strategia del partitino.

Esiste una sottile differenza tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Al primo sono serviti vent’anni per non risultare più credibile, al secondo ne sono bastati cinque. In questi ultimi mesi infatti, dalla caduta del primo governo Conte (20 agosto 2019), non solo Matteo ha bruciato le tappe, ma è anche riuscito a diventare la pecora nera della politica italiana. Parliamo di una persona che cambia colore un giorno sì e l’altro pure, pur conservando lo stesso vizio. In questo articolo scenderemo alle radici della crisi di governo per rispondere a una domanda: quanto è conveniente la strategia del leader di Italia Viva?

La spada di Damocle

Bisogna dirlo: Renzi ha un dono nel tessere trame di palazzo. Ha sempre manifestato il suo dissenso nei confronti dei cosiddetti partitini, giudicandoli responsabili dell’intorpidimento della politica italiana, finché non ha miracolosamente riscoperto l’utilità strategica del sistema parlamentare. Una volta caduto il governo, infatti, l’ex rottamatore aveva deciso di promuovere una nuova coalizione Pd-M5S-LeU, tutt’ora in auge, tenendo nascosto ancora per qualche giorno il suo asso nella manica. Renzi poi scopre le sue carte il successivo 18 settembre. Secede dal Pd dopo la formazione del governo Conte II e costituisce Italia Viva, il suo primo partito personale.

Allontanandosi dal suo partito natìo, Italia Viva sarebbe rimasta all’interno della maggioranza. Il tutto assorbendo parlamentari dalle altre forze politiche (in particolare Pd e Forza Italia) per aumentare la propria mole e mettere a rischio la tenuta dell’esecutivo una volta avuti i numeri indispensabili per farlo. Questo avrebbe permesso ai renziani di fare il bello e il cattivo tempo, con l’aspettativa di godere di un buon peso negoziale. In sostanza tutto ciò che sta succedendo in queste ultime settimane.

I partitini nell’immaginario del vecchio Renzi (2017)

La composizione del partito

Ad oggi Italia Viva conta 30 deputati e 17 senatori. A sorreggere l’intera coalizione vi sono 337 parlamentari alla Camera e 156 al Senato, al netto dei cosiddetti “responsabili” e di quella trentina dei rispettivi gruppi misti, il vero ago della bilancia, molti dei quali in sintonia con la maggioranza. Per questo motivo, negli ultimi mesi, Matteo Renzi ha puntato sull’ingrasso del suo partitino – per far saltare il banco da un momento all’altro.

Nel frattempo, il tempo passa. La giusta atmosfera per creare una crisi di governo si presenta a pochi giorni da Capodanno 2020. La situazione comincia a surriscaldarsi, in quanto dal 1° gennaio dell’anno nuovo sarebbe entrata in vigore la riforma della prescrizione, riforma che era stata varata l’anno precedente dal ministro della giustizia Alfonso Bonafede (M5S) e avrebbe annullato gli effetti della prescrizione dopo il primo grado di giudizio.

Il ministro della giustizia Alfonso Bonafede

Il nodo della prescrizione

Ma che cos’è la prescrizione? Si tratta di un dispositivo giuridico che si attiva allo scadere di un determinato periodo di tempo, che decorre dalla consumazione del reato fino al suo termine. Scaduto il termine, il reato è prescritto. Ciò significa che si estinguono automaticamente i procedimenti giudiziari, incluse le indagini, sottraendo l’imputato dalla sentenza definitiva.

Per esempio, Berlusconi nel 2005 varò la legge ex-Cirielli, che diminuiva la prescrizione per il reato di corruzione giudiziaria da 15 a 10 anni (persino il legislatore si era vergognato di chiamarla col proprio nome). O ancora Berlusconi, Alemanno, Previti, Dell’Utri e molti altri, salvati decine di volte dalla prescrizione in reati come concorso esterno in associazione mafiosa, finanziamento illecito, corruzione, evasione fiscale o massoneria. Così la prescrizione si attivò in altri centinaia di migliaia di casi negli ultimi vent’anni, estinguendo chissà quanti reati dei colletti bianchi.

La riforma Bonafede sul tema della prescrizione (Fonte: Ansa)

Il ddl Costa

Dato che la riforma non andava a genio a nessuno, a dicembre il forzista Enrico Costa tenta di far approdare in parlamento un disegno di legge che ne avrebbe annullato la validità. Invece, tutto si rivela inutile. Nessuna legge di questo tipo viene approvata prima di Capodanno.

È qui che Matteo Renzi, come al solito, comincia a cambiare idea. Se nel periodo 2014-2017 voleva adottare lo stesso identico provvedimento di Bonafede, ora si schiera al fianco del centrodestra. Forse perché si riscopre di destra, forse perché alcuni suoi seguaci sono pregiudicati (tra cui anche il padre) o forse perché, banalmente, è pressato da chi finanzia il suo piccolo partito.

La prescrizione nell’immaginario del vecchio Renzi (2014)

L’inizio della crisi

Cominciano quindi i ricatti. Gennaio e febbraio vede uno straordinario contorsionismo dei renziani tra una votazione e l’altra. Italia Viva vota in favore del lodo Annibali al fianco di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia (una soluzione individuata dalla destra per rinviare la riforma all’anno prossimo). Vota contro il lodo Conte bis, il compromesso trovato dal premier per accontentare sia Pd che M5S. Vota sempre con le destre per riesumare la proposta di Costa. Nel frattempo, vota persino in favore del decreto Milleproroghe presentato dal governo, un pacchetto di ulteriori misure, ma stranamente si oppone all’articolo 35. Quello che dispone la rottura dello Stato italiano con Autostrade per l’Italia (gruppo Atlantia), in modo di assegnare le nostre infrastrutture autostradali a un concessionario più affidabile (tra l’altro abbassando le penali da 23 a 7 miliardi di euro).

Invece di apparire responsabile, cosa che accade negli altri sistemi parlamentari del mondo, Matteo Renzi preferisce fare il capriccioso per riscattare una leadership perduta con promesse mancate. Riuscendo a inimicarsi l’opinione pubblica. Anche perché, in mezzo a tutto questo marasma, si ritira qualche giorno sull’Himalaya pakistana per farsi qualche sciata rigenerante tra vari esponenti dell’alta finanza. Si sa, essere indagati nello scandalo Open per traffico di influenze e finanziamento illecito è stancante.

Sondaggi sulla prescrizione (Fonte: Ipsos)

La legislatura costituente

Molti sono concordi nell’affermare l’inutilità della riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari. Tralasciamo il fatto che porterebbe più danni che altro in quanto disegnata presto e male. Sarebbe preoccupante un’Italia che vede la propria costituzione spartita tra le principali forze politiche. In particolare se consideriamo che la volontà di riformare la legge fondamentale dello Stato ha scosso qualsiasi anima nei palazzi del potere.

Eppure, nel paese delle risse in parlamento, delle scritte antisemite sui muri e delle rumorose incursioni nelle commissioni durante i lavori (Lega docet), il nostro Matteo esordisce a Porta a Porta con una delle sue fresche, utili e per niente scontate idee: il Sindaco d’Italia. L’intento è quello di arrivare a una riforma costituzionale che accontenti tutti, una riforma che persuada l’opinione pubblica sui benefici di un capo di governo eletto direttamente dai cittadini. In sostanza un presidenzialismo che ricorda quei “pieni poteri” tanto reclamati da Salvini l’estate scorsa.

Intenzioni di voto in Italia (Fonte: Swg)

Convergenza di interessi

La vicenda però riesuma una domanda. Che i due Matteo si siano resi conto di avere qualcos’altro in comune, oltre al nome? Come racconta La Stampa, sembra che tra novembre e dicembre 2019 Renzi e Salvini si siano incontrati nella villa dell’ex forzista Denis Verdini, nei dintorni di Firenze.

Sembra inoltre che i due abbiano discusso sull’equilibrismo del governo, sulla legge elettorale e sulle regionali in Toscana di questa primavera. La Toscana è infatti l’ultima roccaforte per Renzi, il suo trampolino di lancio nel 2014. Lasciarlo ai partiti di destra sarebbe un duro colpo per la sua immagine. Renzi ha anche bisogno di una legge elettorale che permetta a Italia Viva di sopravvivere, attualmente fermo al 4%. Magari con una soglia di sbarramento al 3% anziché al 5%, come vuole fare il governo giallorosso.

Nonostante possano esserci delle convergenze e degli interessi comuni, è abbastanza improbabile che Salvini e Meloni escano allo scoperto sbandierando un simile accordo. Così come è poco probabile che ci sia l’accordo, smentito ripetutamente dai due sovranisti. Secondo la loro ottica, infatti, dovrebbe essere proprio Renzi ad aggregarsi alle loro iniziative politiche, non il contrario. Tenere il leader toscano a distanza di sicurezza è fondamentale per non subire rappresaglie elettorali. Stimolarlo a demolire l’esecutivo, invece, un’occasione da non perdere.

A Matteo Renzi conviene rompere?

Che a Renzi piaccia prendersi 40.000 euro a evento, da buon conferenziere, o che preferisca la morbida neve pakistana importa poco. L’unica cosa che conta, per lui, è mantenere nervi e radici ben saldi in parlamento, soprattutto nel governo. Allora, il giorno prima invoca la sfiducia solo per Bonafede, invece che per tutto l’esecutivo. Il giorno dopo, con un velato alone di minaccia, tenta di scendere a patti con Conte sui temi rilanciati a Porta a Porta lo scorso 19 febbraio.

Lo scontro Conte-Renzi secondo gli italiani (Fonte: Swg)

Di qui “l’ultimo” ultimatum. Mercoledì 26 febbraio faccia a faccia con Conte, nella speranza che le quattro idee avanzate dall’ex rottamatore vengano accolte a braccia aperte dal resto della maggioranza. Idee che si articolano dalle grandi opere gestite dai commissari (sul modello del ponte Morandi) alla modifica del Reddito di cittadinanza, dal Sindaco d’Italia a una “giustizia meno giustizialista”. Tradotto, niente riforma Bonafede.

Quali potrebbero essere le prossime mosse?

Al netto del fatto che possa essere raggiunto un compromesso, è chiaro come Matteo Renzi stia semplicemente giocando al gioco del pollo, dove pollo è chi cede per primo. È consapevole di poter far leva su una crisi di governo, finché i suoi alleati non riusciranno a riprendere il controllo della situazione. Teme di non avere i numeri precisi nel caso di una potenziale sfiducia, per via dei parlamentari del misto, cosa che peggiorerebbe la sua condizione politica. Le votazioni perse sul tema della giustizia lo dimostrano.

D’altra parte, però, conta di ottenere un vantaggio in termini di visibilità sui media nel corso della crisi. Un guadagno da sfruttare per pubblicizzare i punti del suo programma e rilanciarsi come politico. Ma che potrebbe facilmente trasformarsi in costo, dato che meno del 20% degli italiani si schiera dalla sua parte.

Perché qui non si tratta di esautorare un presidente del consiglio per prenderne il posto, com’era accaduto quando nel 2014 disse a Enrico Letta di stare sereno. Questa volta il rischio è quello di far cadere un governo per regalarlo al suo nemico di lungo periodo, cioè Salvini. Su questo Renzi ne è pienamente consapevole. A meno che non trovi qualcosa di più conveniente. In questo caso Tranquillo saprebbe di che morte morire.

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Riguardo Umberto Merlino

Classe 1997, sono nato a Genova. Inguaribile curioso, scrivo fin dalla tenera età. Sono un grande appassionato di storia, politica e astronomia.

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