Attenzione: questo articolo contiene (leggeri) spoilers su Piccole Donne.
Piccole Donne per qualcuno potrebbe sembrare un’opera datata e polverosa, lontana anni luce dal 2020 (del resto risale al 1868!). Invece, grazie alla nuova versione cinematografica di Greta Gerwig, si scopre quanto sia una storia ancora attuale e quanto la sua autrice, Louisa May Alcott, fosse una donna veramente ardita per l’epoca in cui ha vissuto.
Piccole Donne è quel classico che andrebbe letto almeno una volta nella vita e, se possibile, riletto: a ogni primavera dell’esistenza si scopre qualcosa che prima ci era sfuggito, proprio perché si cresce.
Per chi se lo fosse perso: il romanzo narra della quotidianità di quattro sorelle americane (Jo, Amy, Beth e Meg) che grazie a varie vicissitudini crescono fino alla maturità, raggiungendo gli obiettivi che si erano prefissate.

Nonostante la mia passione per la lettura, il mio primo incontro con questa meraviglia letteraria è stato non tra le pagine di un vecchio libro del 1868, ma in televisione. Quasi per caso, una sera annoiata della mia prima adolescenza, in tv davano Piccole Donne. Inutile dire che era la famosissima versione del 1994, con una memorabile Winona Ryder nei panni dell’indomabile Jo March e un giovane Christian Bale, che interpretava il dolce vicino di casa delle quattro sorelle, Theodore Laurence (detto “Laurie”).

Non so se fu Laurie o Bale a conquistarmi, ma quel dribbly kiss nel bosco con la più chiacchierata delle sorelle March fece di sicuro breccia nel mio cuore. Quella era una parte fondamentale della storia che all’epoca (a 13 anni) mi spezzò in due: come poteva Jo – la mia sorella preferita – essere così folle da rifiutare un uomo del genere? Scioccata e arrabbiata, fui molto divisa sul suo personaggio. Un vero Odi et Amo per la giovane March. Allora non potevo capire il perché della sua scelta e soprattutto il suo folle amore per l’affascinante (quanto attempato) Professor Baher. Con il tempo ho finito per apprezzare la loro relazione e ho compreso che erano un match made in Heaven. E poi, non si può rimanere impassibili davanti alla bellissima scena finale in cui lei lo rincorre mentre sta per iniziare il temporale!

Chi sono queste Piccole Donne
Fu subito amore per quelle Piccole Donne: la tenera e altruista Beth che con la sua semplicità ricorda quanto siano importanti i piccoli gesti; l’incantevole Meg, che si rivela una sorella e madre affettuosa; la (inizialmente) insopportabile e testarda Amy, che punta i piedi perché cerca approvazione e invidia la sorella scrittrice, Jo.

Jo March: non basterebbe una giornata per descriverla! Un vulcano di idee con un’indole vivace e una massiccia dose di schiettezza, che vive a testa alta.
Nella versione del 1994 Jo veniva interpretata da Winona Ryder. Oltre ad essere la mia attrice preferita da che ho memoria, Winona è una perfetta Jo March nei modi di fare e nell’aspetto. Inoltre, la Ryder ha un curriculum di tutto rispetto, partendo dagli anni ’80 con “Heathers” e “Beetlejuice”, per poi passare a grandi classici come “Edward mani di forbice” e “Dracula”. Che cosa hanno in comune tutti questi film? Una protagonista apparentemente dolce e naive, ma sotto sotto ribelle e anticonformista, proprio come Jo March. Winona non avrà impersonato Jane Eyre (il personaggio forse più atipico e rebel della letteratura femminile), ma non poteva non interpretare la più chiacchierata delle Piccole Donne.

La Jo della nuova versione cinematografica è Saoirse Ronan: classe 1994, è una delle attrici più promettenti del cinema hollywoodiano e anche lei può vantarsi di varie interpretazioni da “untamable girl”.
La giovane irlandese ha ricoperto vari ruoli nella sua carriera, che le hanno persino fruttato tre nominations agli Oscar (escludendo la candidatura per Piccole Donne): “Lady Bird”, “Brooklyn”, “Maria regina di Scozia” e “Hanna”, solo per citarne alcuni. Inoltre, nel 2014 ha interpretato la coraggiosa pasticcera Agatha in “Grand Budapest Hotel” di Wes Anderson.

A mio parere, le interpretazioni delle due attrici non sono comparabili, perché entrambe evidenziano particolari caratteristiche del personaggio di Jo March, tanto da far quasi pensare che siano due donne diverse. Mentre Winona ha portato sugli schermi una “tomboy” sognatrice con problemi di socialità e un’enorme dose di dolcezza, Saoirse ha reso il personaggio più brusco, rabbioso, forte e femminista.
Vorrei soffermarmi in particolare sull’ultimo punto. Il discorso che Jo affronta con sua madre in soffitta nella versione 2019 è potente e tocca le corde dell’anima: fa sentire la potenza del dolore della protagonista, che in quanto donna si sente stretta in una gabbia costruita da assurdi dettami della società e che non ha libertà nemmeno di terminare il suo romanzo come desidera. E quando piange, mentre confessa tutta la sua paura di rimanere sola e il voler essere amata ardentemente, ci sentiamo tutte un po’ lei.

Nonostante ciò, è chiaro che in entrambe le interpretazioni si scorge chiaramente l’aggettivo che la caratterizza: libera.
Jo è un’anima libera che ogni giorno della sua vita non smette di lottare per trovare il suo posto nel mondo, come un meraviglioso fiore selvatico che cerca di sbocciare in un arido deserto.
La versione del 1994 era più edulcorata, mentre quella del 2019 ci ha fatto piangere — soprattutto quando Beth e Jo si abbracciano in riva al mare — eppure, entrambe sono indimenticabili. L’allure anni ‘90 del primo film rende tutto molto più vintage e lontano, mentre la versione di Gerwig è più moderna.
Ad ogni modo, in ogni versione cinematografica il senso di famiglia buca lo schermo – tra baci, abbracci e liti – e ci fa riflettere sui legami d’affetto che forse a volte diamo per scontati e sull’importanza dei piccoli dettagli che, con cura, le persone che amiamo fanno per noi e che contribuiscono a creare la nostra personalità. Perché alla fine la forza di “essere” ciò che siamo è un fuoco che viene alimentato da chi ha un posto nel nostro cuore.
