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1 Febbraio 2020 / Politica

La violenza che non vedi

Disuguaglianza di genere in America Latina

Il femminicidio e la disuguaglianza continuano ad essere temi di persistente attualità. Al novembre del 2019, secondo dati Eures, i femminicidi in Italia per l’anno concluso ammontavano a circa uno ogni tre giorni, commessi soprattutto in ambito famigliare e affettivo. Grazie agli studi di genere e alle manifestazioni dei collettivi femministi, l’attenzione su simili eventi è oggi maggiore. Tuttavia ciò non è stato sufficiente né a ridurre la violenza né ad abbattere le strutture di potere che gerarchizzano la società. Le donne, ad oggi, restano relegate a gradini più bassi rispetto alla posizione di cui godono gli uomini.

A partire dalle manifestazioni in Cile, la canzone “Un violador en tu camino” del collettivo “Las Tesis” ha fatto il giro del mondo. Da Valparaiso, un flash mob femminista ha posto in risalto la specificità della repressione e delle umiliazioni subite per mano del governo cileno e della società nel suo complesso dalle donne in quanto tali: stupri e umiliazioni fisiche hanno infatti colpito direttamente le manifestanti.

https://www.latercera.com/nacional/noticia/lastesis-la-revolucion-feminista-la-mas-necesaria-la-historia/937081/

Las Tesis

Il flash mob cileno ha attraversato il confine per via terrestre e marittima e il messaggio è stato raccolto in Spagna, in Francia e in ultimo in Italia. Pur vivendo situazioni differenti, in tutto il mondo le donne si sono riconosciute come vittime di una violenza visibile e di una invisibile. Ed è proprio la “violencia que no ves” quella di cui trattiamo, specificatamente in ambito latinoamericano.

“Ahora a casa que hay que hacer la cena”: il fattore culturale

Da Santiago a Santiago: valicato l’oceano, il flash mob femminista è arrivato anche a Santiago de Compostela. Qui la canzone di “Las Tesis” è stata interrotta dal grido di un uomo: “Adesso andate a casa perché bisogna preparare la cena“. Per quanto deprecabile, l’intervento maschilista ha palesato uno dei fattori cruciali che determinano la disuguaglianza tra uomo e donna nel contesto lavorativo: il fattore culturale diffuso che relega la donna latina (così come europea) al ruolo di riproduttrice della forza lavoro e di casalinga.

Santiago de Compostela: il momento dell’interruzione del flash mob

L’attività domestica si configura oggi come un sussidio al capitale. La donna, rispetto all’uomo, svolge un lavoro essenziale che da una parte allevia un peso economico che ricadrebbe altrimenti su qualcun altro; dall’altra, non viene remunerato, comporta meno competenze utili al lavoro qualificato e contribuisce alla posizione subordinata e di dipendenza. Una posizione che viene rafforzata nel momento in cui lo sposo, il suo compagno, si inserisce nel contesto lavorativo lasciando alla donna i compiti domestici.

Differenza di genere nelle attività lavorative

Ovunque in America Latina, le attività non remunerate, tra le quali rientrano la cura della casa e dei figli, sono svolte in modo prevalente dalle donne. Secondo un report della CEPAL (2017 : p. 39), al 2007 in Uruguay, le ore di lavoro domestico settimanali svolte da una donna sono 28.36, contro le 12.30 svolte da un uomo. In Perù (2010) la stessa attività richiede alle donne un lavoro di 37.28 ore settimanali contro le 20.50 svolte da un uomo. In Colombia (2008) la differenza è ancora più forte: 24 ore a settimana contro le 9.30 ore svolte dalla controparte maschile. I dati sull’attività domestica svolta giornalmente in Argentina (2005), Brasile (2009) e Cile (2008) dipingono un quadro simile. Anche nel Cono Sud, quindi, le donne dedicano all’attività domestica il doppio del tempo rispetto all’uomo.

La situazione è inversa se si considerano le ore dedicate al lavoro remunerato: in questo caso sono gli uomini a lavorare fino al doppio del tempo rispetto alle donne. La Bolivia è il paese che registra la minore disuguaglianza di genere nella partecipazione ad attività remunerate in base ai dati del 2001: 6.42 ore giornaliere delle donne contro le 7.30 svolte dagli uomini.

https://www.corriere.it/esteri/19_dicembre_08/inno-contro-violenza-donne-che-cile-conquista-mondo-ecf5c6b0-19b4-11ea-b52c-4b88648fa942.shtml

Flash mob a Santiago de Chile

Il report della CEPAL conclude che le responsabilità famigliari sono tra “le barriere maggiori per le donne, in quanto i compiti domestici non sono ripartiti in modo equo. Ricadendo soprattutto sulle donne, queste ultime sono spesso costrette a interruzioni di carriera, a lavorare meno o come part-time. Come risultato, accumulano meno esperienza e ore di lavoro annuali, cosicché la loro carriera si sviluppa più lentamente e guadagnano meno” (cit. : p.42).

In base al quadro descritto, i sussidi statali alle madri congelano il ruolo femminile di “angelo del focolare“. Lavoro domestico e carriera costituiscono un trade-off allo stato attuale: certamente la donna latinoamericana riesce anche ad assumersi entrambi i compiti, soprattutto quando è single, vedova o divorziata, tuttavia in questo caso sono le relazioni sociali a risentirne particolarmente. Sembra quindi appropriato considerare una misura di povertà multidimensionale capace di dar conto anche del network sociale femminile.

Neoliberalismo e apertura commerciale: il fattore mercato

La ristrutturazione economica seguita alle grandi crisi degli anni ’90 e del 2008 ha cambiato il panorama della disuguaglianza di genere nel mondo del lavoro. Progressivamente in quasi tutti i paesi dell’America Latina il tasso di impiego femminile ha conosciuto un boom inedito, mentre quello maschile è rimasto stagnante e in alcuni casi è addirittura declinato. Questo processo ha mostrato l’insufficienza esplicativa della teoria macroeconomica tradizionale, secondo cui la fluttuazione della crescita economica avrebbe comportato a sua volta una fluttuazione nella domanda di forza lavoro. Mentre per gli uomini è ancora così, per le donne il discorso è differente.

Considerando 16 paesi di America Latina e Caraibi, la ratio female/male unemployment è calata proprio durante i periodi di crisi della seconda metà degli anni ’90 e a partire dal 2008. In poche parole, il tasso di disoccupazione femminile è sceso in questi anni più velocemente di quello maschile. L’occupazione maschile è comunque rimasta maggiore poiché la situazione di partenza era migliore.

Considerando il decennio 2002 – 2012 nel suo complesso, solo l’Argentina ha conosciuto un calo quasi uniforme nella disoccupazione urbana maschile e femminile. In Brasile la disoccupazione maschile è calata di 3 punti percentuali mentre quella femminile si è dimezzata. In Colombia il calo per la disoccupazione maschile è stato di 2,2 punti percentuali, mentre la disoccupazione femminile è calata di più di 5 punti. La situazione in Ecuador, al 2002, vedeva la disoccupazione maschile al 5,8% e quella femminile al 13,9%. I dati del 2012 indicano una disoccupazione maschile al 4,5% e una femminile al 5,5% (CEPAL, 2017) (Braunstein E., Gammage S. & Seguino S., 2014). Eccetto poche eccezioni, nella maggior parte dei casi sembra che la ristrutturazione economica abbia contribuito a combattere questa specifica disuguaglianza di genere.

Un vero miglioramento?

Se ci atteniamo ai dati macroeconomici dunque, liberalizzazioni e privatizzazioni hanno favorito l’inclusione femminile in modo maggiore rispetto all’industrializzazione sostitutiva di importazioni guidata dall’apparato statale, che evidentemente ha riprodotto le disuguaglianze domestiche nel mondo del lavoro favorendo soprattutto l’impiego maschile. Dietro i numeri, tuttavia, si cela una realtà più complessa. Come mette in luce Cardero E. per il caso messicano, l’apertura commerciale “può beneficiare le donne se aumenta la domanda di lavoro, aumentano i salari e acquisiscono più competenze (le donne)”.

Ciò che invece è accaduto nella fase di ristrutturazione economica si avvicina piuttosto ad una femminilizzazione del mercato del lavoro. Il capitale è riuscito ad abbattere i costi di produzione integrando nella sfera produttiva donne già lavoratrici domestiche non remunerate, spezzettando il processo produttivo grazie allo stesso lavoro domestico, abbassando i salari drasticamente grazie alla nuova forza lavoro femminile e dunque addomesticando la forza maschile già impiegata e più restia ad accettare le nuove condizioni stabilite. Il lavoro femminile, dunque, è sì aumentato, ma le condizioni di impiego sono peggiorate per tutti. Il tasso di occupazione informale inoltre è aumentato, soprattutto per le donne. Alla realtà descritta è da aggiungere il fatto che spesso il capitale industriale ha utilizzato le competenze femminili acquisite in ambito domestico. Anche in questo caso si è prodotta quindi la loro esclusione dallo spazio pubblico.

https://iberoamericasocial.com/desigualdad-genero-tributacion/

Conclusione: dov’è lo Stato?

Se il flash mob femminista ha qualificato lo Stato come un “macho violador” per quanto riguarda la violenza visibile subita ogni giorno, nel caso delle condizioni meno visibili di questa violenza e della disuguaglianza di genere lo Stato si qualifica piuttosto come un complice indifferente.

Lo studio di Braunstein E., Gammage S. & Seguino S. conclude che i governi di centrosinistra del decennio trascorso hanno ridotto la disuguaglianza di genere nel mondo del lavoro in modo maggiore rispetto ai governi di centrodestra. Tuttavia hanno ottenuto risultati minori rispetto ai governi di centro, il che fa supporre uno sforzo insufficiente da parte delle forze progressiste.

Laddove le disuguaglianze si sono effettivamente ridotte, come nel caso del tasso di disoccupazione, è mancata un’azione statale capace di fare la differenza ponendo rimedio ai meccanismi iniqui del mercato, come per esempio al fatto che la forza lavoro femminile sia stata integrata come parte di un progetto del capitale finalizzato ad abbattere i costi e ad aumentare i profitti durante la crisi. Dopo la crisi del 2008, non a caso, la ratio female/male unemployment ha conosciuto una nuova pericolosa crescita che potrebbe ripristinare questa disuguaglianza raggiungendo un nuovo equilibrio con salari più bassi e peggiori condizioni per la forza lavoro nel suo complesso.

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