Schegge intervista Marta Collot
Per la rubrica “L’Emilia-Romagna al voto”, abbiamo intervistato Marta Collot candidata alla presidenza della regione per “Potere al Popolo”. Marta Collot, 26 anni, nasce a Treviso ma si trasferisce a Bologna per studiare all’università e al conservatorio. È alla sua prima esperienza politica, ma è da sempre attiva nelle lotte contro le ingiustizie. Fin da piccola, è attivista in movimenti contro la guerra, movimenti studenteschi e per gli spazi sociali. A Bologna, ha lottato per il diritto alla casa e il diritto ad abitare.
Nel caso ve le siate perse, qui potete recuperare le interviste a Lucia Borgonzoni (Lega), Stefano Bonaccini (PD), Simone Benini (M5S), Stefano Lugli (L’altra Emilia-Romagna).

Quali sono le motivazioni che l’hanno spinta a candidarsi?
Abbiamo deciso di candidarci perché c’è l’esigenza di un movimento politico che metta al centro gli interessi di quelli che vengono esclusi e traditi dalla politica: disoccupati, precari, i lavoratori che non riescono ad arrivare alla fine del mese, studenti, pensionati. Pensiamo ci sia una crisi sociale, economica e ambientale che ha dei responsabili, invece si cerca di scaricare la colpa sulle persone. Questa crisi la deve pagare chi l’ha creata e chi si è arricchito fino ad adesso.
Il programma in tre punti
Scendiamo in campo con un programma che si basa su tre punti: lavoro, servizi e ambiente.
Sul lavoro, pretendiamo che ci sia un salario minimo di 9 € all’ora, la reintroduzione dell’Art. 18 per tutte quelle cooperative e quelle imprese che vogliono partecipare agli appalti pubblici. Oggi viviamo in una regione, l’Emilia-Romagna, che è presentata come la regione vetrina e invece vogliamo raccontare qual è il retro bottega. Le cooperative sono uno strumento in più per sfruttare il lavoro, quindi il pubblico non può essere complice di questi salari da fame.
Per quanto riguarda l’ambiente, pensiamo sia indispensabile mettere in sicurezza il territorio, invece abbiamo visto una gestione sempre emergenziale di questo problema. Chiediamo un piano di investimenti strutturale: per mettere in sicurezza il territorio, per creare occupazioni di qualità, e anche per mettere un freno allo spopolamento dei piccoli comuni. Inoltre, c’è una legge all’Urbanistica varata nel 2017 da questa giunta, che parla di consumo di suolo a saldo zero ma di fatto ha una serie di deroghe pesantissime che vanno a implementare la cementificazione e mette al centro della pianificazione urbana l’interesse dei privati. Non ci servono grandi opere inutili che devastano il nostro territorio.
Invece rispetto ai servizi, vediamo uno sviluppo diseguale. Ci sono i centri città che sono serviti, ma le periferie e i comuni che vengono abbandonati. I servizi devono tornare completamente pubblici, oggi invece siamo di fronte ad un incremento ai finanziamenti ai privati, società partecipate a maggioranza pubblica, che però sono società per azioni. Questo significa che sono società che mettono il profitto al centro, non gli interessi delle persone.
Siamo anche contrari all’autonomia differenziata. Perché va ad incrementare un modello criminale di visione della società. Perché divide regioni di serie A da regioni di serie B, sapendo che la questione meridionale esiste da secoli. Mette in competizione i territori tra di loro e le persone. All’interno dell’Emilia-Romagna, andrebbe ad aggravare delle disuguaglianze che già esistono.

In che modo si penalizzano le regioni del Sud?
Nel momento in cui i servizi sono pubblici, nazionali, la gestione dei fondi viene gestita in base alla necessità dei territori. Il modello di autonomia, che vogliono sia PD che Lega, è di lasciare indietro qualcuno per potenziare le ragioni che oggi gestiscono il 40% del PIL italiano. Questo è un principio sbagliato. Un processo che è già iniziato con la riforma del Titolo V e la regionalizzazione dei servizi.
Sappiamo bene che la questione abitativa degli studenti, a Bologna e non solo, è un problema ancora irrisolto. Come pensa di poterlo affrontare?
Sicuramente, c’è il problema dell’edilizia residenziale pubblica. Questo sviluppo diseguale spinge verso l’espulsione degli studenti o delle persone che hanno basso reddito fuori dalle città. Si spinge da un lato per l’incremento della popolazione studentesca, però non si fornisce nessun tipo di soluzione abitativa. Fare un tipo di politica che blocchi il prezzo degli affitti, che non venga legato solo al valore di mercato. È inoltre necessario aumentare i servizi per gli studenti con il riutilizzo di spazi già esistenti.
Il nuovo Green Deal europeo come si concilia con le difficoltà delle imprese ad adeguarsi?
Sull’ambiente c’è tantissima retorica, siamo in un modello di società di sviluppo che cerca di mettere a profitto qualsiasi cosa, adesso anche la questione ecologica. Non possiamo mettere sullo stesso piano i singoli individui con le multinazionali che inquinano tantissimo. La transizione ecologica è un processo che va avviato ora e deve pagarlo chi ha inquinato fino ad adesso. Non bisogna dare sovvenzioni alle imprese perché attuino questa riconversione, ma bisogna sanzionare chi continua ad inquinare.
Quando si parla di inquinamento inoltre, non si può non mettere in discussione il modello generale della grande distribuzione. Ad esempio se si potenziano i centri commerciali, e si costringono i lavoratori ad andare a lavorare anche la domenica diventa anche difficile attuare il blocco del traffico.
Come immagina l’Emilia-Romagna dopo cinque anni con lei alla guida?
Sicuramente diversa da come è adesso. Ci sono Lega e Pd che fingono di litigare sottobanco, però in realtà portano avanti gli stessi programmi sulle cose essenziali. Come Potere al Popolo portiamo in campo un’opzione che rompe con questo modello.