I commenti di Hollywood: dal non-politically correct alla vittoria di 1917
Per la 77esima volta, il compito di aprire la stagione degli eventi cinematografici internazionali è toccato ai Golden Globe.
Esattamente un anno fa avevo provato a spiegare il più banale e inflazionato dei parallelismi: l’arte come critica alla società. I Golden Globe 2019 erano riusciti brillantemente a rendere chiaro il concetto: gli sketch, le onorificenze, i discorsi dei presentatori e dei vincitori rimandavano tutti con insistenza ai grandi fatti dell’attualità statunitense. D’altronde, si sa: gli Americani sono bravi a prendere posizione, adorano essere plateali e hanno come segno distintivo un’innata espressività facciale capace di rendere tutto estremamente ironico o serioso.
Gennaio 2019 sarebbe stato per gli Stati Uniti uno dei mesi più difficili dell’anno, un periodo in cui sarebbe diventato inevitabile affrontare alcune delle problematiche che Dicembre 2018 aveva lasciato in eredità: lo shutdown, l’annuncio del ritiro delle truppe dalla Siria con le conseguenti dimissioni del Segretario della Difesa, le voci sempre più forti di movimenti sociali come #TimesUp, #MeToo o #BlackLivesMatter che portarono in evidenza fatti di cui tutti sapevano e nessuno parlava. Il 6 gennaio 2019, Hollywood passò in rassegna tutti gli eventi di cui sopra rivendicando la capacità politica della comunità cinematografica e della produzione artistica in generale.
Forse in pochi si aspettavano che Gennaio 2020 avrebbe rappresentato un momento storico perfino più decisivo a livello statunitense e globale.
La cerimonia
Ma partiamo dall’inizio. La 77esima edizione dei Golden Globe, il premio assegnato dalla Hollywood Foreign Press Association alle migliori produzioni televisive e cinematografiche del 2020, è stata aperta e presentata da Ricky Gervais. L’attore è conosciuto dalla nostra generazione principalmente per essere il creatore di The Office, una delle serie di maggior successo dell’ultimo ventennio. Avendo presentato altre quattro cerimonie Golden Globe, è senz’altro un volto familiare al Beverly Hilton.

<<Questa sarà la mia ultima volta>>: così Gervais ha voluto anticipare, nel suo monologo di apertura, quello che sarebbe stato un susseguirsi di battute contro ogni principio del politically correct. Sulla scia di Sandra Oh e Andy Samberg, hosts della precedente edizione, Ricky Gervais ha cavalcato l’onda del politicamente scorretto regalandoci un esercizio di stile che ha passato in rassegna tutti gli eventi che hanno segnato il mondo dello spettacolo nel corso dell’ultimo anno: la pedofilia di R. Kelly, i tweet di Kevin Hart, la discriminazione razziale.
Un riuscitissimo manierismo per concludere con semplicità:
Voi che vincerete, non fate discorsi sulla politica. Non sapete nulla del mondo reale. Molti di voi hanno passato a scuola la metà del tempo di Greta Thunberg.
Ed effettivamente, a dispetto di quanto ci si sarebbe aspettato, i riferimenti politici nel corso della cerimonia sono stati meno o meno incisivi di quelli dello scorso anno. Tuttavia non sono mancati i richiami a Trump, alle elezioni del 2020 e ai fuochi che hanno assediato l’Australia in questi ultimi giorni.
I commenti dei vincitori
Tra tutti Patricia Arquette, vincitrice del premio miglior attrice non protagonista in una miniserie o TV movie, è quella che con maggiore insistenza ha ribadito la necessità di votare alle elezioni 2020. Non sono mancati gli accenni alle ultime politiche e decisioni di Trump: <<Supplicate chiunque conosciate di andare a votare >>, ha concluso.
Così anche Michelle Williams, miglior attrice protagonista in una miniserie o TV movie per il suo ruolo in Fosse/Verdon, ci ha tenuto a sottolineare: <<Siamo qui perché le donne hanno il potere di scegliere. Vivo in un Paese fondato sulla libertà. Andate a votare per il vostro interesse>>.

Più elaborato l’intervento di Joaquin Phoenix, miglior attore protagonista grazie alla sua interpretazione in Joker, il quale si è concentrato principalmente sull’aspetto ambientalista. Ringraziando l’HFPA per il suo impegno ecologista, ha chiesto ai suoi colleghi di impegnarsi per la causa:
Dobbiamo fare più di questo. Non sono sempre stato un uomo virtuoso, ma insieme possiamo cambiare. Non serve un jet per andare a Palm Springs. Io cercherò di fare del mio meglio
Non sono mancati anche i messaggi meno espliciti, più sbrigativi ma forse più appropriati ad una cerimonia di premiazione. Brad Pitt, miglior attore non protagonista per Once Upon a Time in Hollywood, ha chiuso la sua lista di ringraziamenti con un velocissimo: <<Se riuscite, provate ad essere gentili con le persone, ne abbiamo bisogno>>.
Allo stesso modo Laura Dern, vincitrice del premio miglior attrice non protagonista in Marriage Story, ha ringraziato il regista Baumbach sottolineando: <<Grazie Noah per ricordarci come sia possibile superare la divisione per creare qualcosa di più grande, anche per il nostro pianeta>>.
1917
Ma al di là dei commenti, degli appelli, del sarcasmo a tratti amaro, tutti ci aspettavamo un momento in cui saremmo saltati dalle sedie e che ci avrebbe costretto a decidere se interpretarlo con ironia o sofferenza.
Quel momento è arrivato con la premiazione di 1917 a miglior film -categoria drama. La trama di 1917, come intuibile dal titolo, si concentra sulla storia di due soldati inglesi nell’anno cruciale della Prima Guerra Mondiale e racconta di fatti che <<Spero non riaccadranno mai più>> ha commentato Sam Mendes, che, con la miglior regia, porta a casa due statuette.
Un commento che non lascia spazio ad altre interpretazioni in un clima di tensione come quello degli ultimi giorni, in cui l’uccisione del generale iraniano Soleimani è stata più volte paragonata all’assassinio di Francesco Ferdinando per la sua potenziale trasformazione in casus belli.

È ancora presto per decidere se e quanta ironia attribuire alle parole di Mendes, ma non ci sono dubbi sul fatto che il 2020 sarà un anno decisivo per la politica internazionale e, di conseguenza, per la produzione culturale. Aspettiamo i Golden Globe 2021.