Storia di una regione in continuo sviluppo
Lo scorso 11 ottobre è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace. Tra i 301 candidati, insieme a Greta Thunberg e al leader brasiliano Raoni Metuktire, il riconoscimento è stato attribuito a Abiy Ahmed Alì.
Per i suoi sforzi per raggiungere la pace e la cooperazione internazionale e, in particolare, per la sua decisiva iniziativa nel risolvere il conflitto con la confinante Eritrea.
Abiy Ahmed Alì, classe 1976, è Primo ministro dell’Etiopia dal 2 aprile 2018. Al momento, guida un paese che ospita sul proprio territorio ben 120 gruppi etnici diversi tra loro. Un’eterogeneità culturale quasi unica al mondo e un mosaico difficile da tenere unito.
Tuttavia, l’apparato statale ha garantito una sostanziale stabilità al paese, pur non mancando di anomalie e malumori interni.
Chi è Abiy Ahmed Alì?
Già ministro della scienza e della tecnologia nel 2016, è stato il primo politico della storia a divenire Primo ministro dell’Etiopia pur essendo discendente da un oromo. Appartenente al Fronte Democratico del Popolo Etiopico (EPRDF), il 2 aprile 2018 Abiy riceve la nomina di Primo ministro dell’Etiopia. Uomo poliedrico, già da giovanissimo è un dissidente del dittatore Menghitsu (caduto nel 1991), combattendo la Resistenza locale. In virtù della sua esperienza militare, diviene successivamente una forza peace keeper nel conflitto in Ruanda.
Sfuggito ad un attentato (una granata lo sfiorò durante un comizio), il 7 luglio dello stesso anno ha compiuto uno storico viaggio ad Asmara, capitale eritrea. Vi si recò per incontrare il dittatore Isaias Afewerkie e avviare il processo di disgelo tra i due paesi. Gli accordi di luglio di Jeddah (Arabia Saudita) hanno ripristinato gli scambi commerciali al confine e riattivato le linee telefoniche tra i due paesi, dopo un ventennio di linee fuori uso.

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Oltre all’Eritrea, Abiy Ahmed Alì si è ritrovato dinanzi ad una disputa relativa alle acque del Nilo con il Sudan e l’Egitto. Sul Nilo azzurro, è infatti in costruzione una diga della Ethiopian Electric Power (commissionata all’impresa italiana Salini Impregilo). Costruzione non da poco: costituisce la più importante struttura in Africa per la produzione di energia elettrica.
Le preoccupazioni del presidente Egiziano Al-Sīsī e di quello sudanese Al-Bashir per il rischio di penuria idrica stanno portando avanti un tavolo con l’Etiopia, con l’obiettivo di trovare un compromesso. Alla delicata operazione, è di aiuto il Qatar, che ha versato 3 miliardi per tentare di soddisfare le pretese dei paesi in combutta.
Sul piano interno, Abiy Ahmed si è mostrato molto attivo con politiche sociali ed economiche: ha liberato 60.000 prigionieri politici e ha revocato la messa al bando delle opposizioni. In economia, pur contestato dai conservatori, ha privatizzato diverse aziende statali. Ha anche licenziato numerose autorità carcerarie, responsabili di torture.
Inoltre, il 25 ottobre 2018, l’Assemblea Parlamentare Federale ha eletto all’unanimità Sahle-Uork Feudi alla Presidenza della Repubblica. Si tratta di una data storica: è la prima donna, nella storia etiope, a ricoprire tale incarico. Infine, a luglio non sono mancati gli interventi di riforestazione dinanzi alla crisi ambientale.
Il giusto mix per riconoscere i parametri per la vittoria del premio Nobel per la pace.
Quale futuro per l’Etiopia?
Il 2020 sarà un anno cruciale per la sfida etiope: le elezioni saranno un banco di prova per il premier. Tuttavia, il rischio di rinvio è alto: il problema principale, per l’Etiopia, è la difficoltà di censimento di ogni abitante avente diritto di voto. La lontananza di molte delle zone rurali dalle città, in uno stato sterminato come quello etiope, caratterizzato da numerosi problemi logistici, rallenta l’organizzazione stessa. Per ben due volte, finora, l’elezione è slittata.
Il corno d’Africa: una posizione strategica
Già nel corso degli anni ’60, l’attenzione di molte potenze si proiettò su questa grande regione che si estende oggi dal Sudan alla Somalia, passando per Eritrea, Etiopia, Gibuti e il non riconosciuto Somaliland. L’area è caratterizzata da un grande interesse strategico per via del petrolio: è situata sullo sbocco tra il mar Rosso e l’oceano Indiano. Inoltre, in linea d’aria, è molto vicina alla regione mediorentale.
Tuttavia, è bene ricordare che il Corno è vittima di una vera e propria guerra commerciale e militare sin dall’epoca della decolonizzazione. Durante la Guerra Fredda, è stato uno dei principali teatri di conflitti tra varie potenze. Infatti, nei coinvolgimenti diretti e indiretti, richiamava a sé gli Usa, l’URSS e, in misura minore, Cuba.
Guerra, golpe militari e dispute sui confini hanno caratterizzato il complesso mosaico geopolitico, rompendo gli equilibri regionali e portando a lunghe instabilità e incertezze. Tutto ciò ha favorito una maggiore attenzione per il Corno d’Africa.

Il Negus Hailé Selassié
/ Espresso /
Etiopia, l’ex impero africano
Nel complesso quadro coloniale africano, il caso dell’Etiopia rappresenta un’eccezione: infatti, si tratta dell’ultimo Stato sovrano durante la lunga epoca coloniale. Dopo la guerra del 1935-36, fu incorporata all’Africa Orientale Italiana, insieme a gran parte della Somalia e dell’Eritrea. Questa situazione durò solo 5 anni: già nel 1941, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, la Gran Bretagna liberò l’intero territorio.
Fu ripristinato, dunque, il ruolo del Negus Hailé Selassié. Nel 1960, l’Etiopia divenne il principale attore dell’intero contesto continentale. Fu tra le nazioni fondatrici dell’ONU e la sede dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OAU), nata nel 1963 e scioltasi nel 2002 per fare spazio all’attuale Unione Africana (UA), con sede ad Addis Abeba.
Membro più influente di tutta la scena politica estera africana, dovette far fronte a guerre contro la Somalia e ad alleanze improponibili con gli USA o l’URSS.
Un anno cruciale dal punto di vista geopolitico fu il 1974, quando un golpe militare dell’esercito filo-marxista del DERG (guidato dal dittatore Menghistu Heilé Mariàm) provocò la fine dell’Impero. Con il DERG al potere, si aprì una stagione monopartitica bagnata di sangue. Fu il Partito Comunista Etiope a divenire il principale bersaglio di uccisioni da parte dei militari.
Una volta insediatosi, il DERG non aveva un preciso piano politico. Menghitsu applicò il modello sovietico, nazionalizzando banche e terreni. Tuttavia, la crisi economica degli anni ’80 scatenò una grave carestia – quasi un milione di persone morirono di fame -, segnando definitivamente la sua caduta nel 1991.

/ Enciclopedia Treccani /
I contrasti fra Etiopia e Somalia
Durante la Guerra Fredda, la Somalia divenne il suo principale rivale. Affamata di conquiste irredentiste, subito dopo la sua indipendenza, il Paese puntò sui territori esteri abitati dai somali: la piccola Gibuti (ex colonia francese che scelse di restare tale), la regione keniota del Northern Frontier District (su cui la Gran Bretagna si ritroverà a sfavore di ogni concessione somala) e sull’Ogaden (regione a sud dell’Etiopia). Il malumore somalo ebbe quindi subito a che fare con la regola fondamentale dell’OUA: l’impossibilità di modificare i propri confini, decretati dopo l’indipendenza.
Inoltre, la sua sete di egemonia portò alla rottura con il Regno Unito e al successivo corteggiamento con l’URSS. Nel 1963, scoppiò la prima guerra dell’Ogaden tra la Somalia, aiutata dall’URSS; e l’Etiopia, aiutata solo parzialmente dagli USA. Fu l’Etiopia, nel 1964, ad uscirne vincitrice. Con la prima grande sconfitta militare, la Somalia si ritrovò quindi con un governo indebolito, guidato dal Partito della Lega della Gioventù Somala.
Nel 1969, un golpe rovesciò il presidente Ali Abdirascid e Siad Barre diventò il nuovo capo di Stato, inaugurando una nuova stagione dittatoriale. Gli anni ’70 cambiarono tuttavia i giochi di alleanze geopolitiche regionali: Barre si avvicinò agli USA, l’Etiopia del socialista Menghistu all’URSS.

Addis Abeba
Nel 1977, scoppiò la seconda guerra dell’Ogaden. L’Etiopia fu di nuovo vincitrice nel 1978, rafforzata dagli aiuti di URSS e Cuba, contro il solo appoggio diplomatico degli USA alla Somalia. Un duro colpo, da cui il Paese non si riprese: nel 1991, a fronte del malcontento popolare, anche per Siad Barre calò il sipario e, destituito, morì a Lagos nel 1995.
A partire dal 1991, la Somalia si ritrova in preda a continui conflitti interni (con vari interventi occidentali e dell’ONU) e a gravi instabilità. Una delle cause principali è la divisione tra il non riconosciuto Somaliland e il resto del paese.
Di fatto, ancora oggi, il suo interno rappresenta una nazione senza stato.