Domenica si sono tenute le elezioni europee e i risultati – lo sappiamo – non hanno lasciato spazio a dubbi. La Lega cresce, cresce tantissimo, portandosi al 34,33%. Un dato, questo, che tutti bene o male si aspettavano. Ciò che non ci si aspettava è la debacle del M5s. Alle politiche del 4 marzo 2018 il MoVimento si era issato come primo partito al 32,68%. Oggi, è quasi dimezzato con una percentuale pari al 17,07%. Dal canto suo, il PD recupera lo svantaggio e compie il tanto agognato quanto insperato sorpasso sugli stessi grillini. Forza Italia (8,79%) appare invece balcanizzata, ridotta ai minimi termini, quasi raggiunta dal partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, al 6,46%.

I primi cinque partiti che hanno superato lo sbarramento del 4% e che hanno letto parlamentari europei. Fonte: Ministero dell’Interno
Ma come si possono leggere questi risultati elettorali, magari con un occhio alla storia e uno al futuro prossimo? Innanzitutto, ciò che è utile fare è osservare quelle che sono i primi flussi di voto, gli spostamenti di elettorato da una formazione all’altra rispetto alle elezioni politiche. Per farlo, utilizziamo questo grafico molto utile prodotto da YouTrend e che potete trovare con un’analisi ancora più ampia a questo link.
Come appare dal grafico, il voto dei Cinquestelle alle politiche 2018 pare essersi “sezionato” alle europee 2019. È interessante notare come una buona parte del flusso M5s pare essersi spostato verso le Lega di Salvini, l’altro partner di Governo. Questo potrebbe spiegarsi alla luce dell’appiattimento del M5s di fronte all’esuberanza comunicativa e mediale di Matteo Salvini. L’indecisione pentastellata su molti temi cruciali in questi mesi di Governo potrebbe aver spinto una parte di elettorato grillino (quello più tendente a destra) a scegliere la “linea dura” e “decisionista” di Matteo Salvini.
Tutto ciò lo si potrebbe chiamare “Effetto Matteo”, una sorta di “effetto calamita”. Matteo Salvini infatti attrae, cattura. Come si nota dai flussi, la Lega delle Europee 2019 (in alto a destra) prosciugherebbe voti tanto dai già citati grillini quanto da Forza Italia. Il partito di Silvio Berlusconi è stretto in una morsa tra una Lega straripante e un Fratelli d’Italia (in basso a destra) che eroderebbe parte dell’elettorato forzista delle politiche 2018.
Ora, Matteo Salvini è in una posizione di forza. I rapporti nella maggioranza di Governo si sono invertiti. Ora è il M5s che dovrà decidere cosa fare: lasciare il contratto di Governo e addossarsi le colpe di un’eventuale crisi oppure, dall’altro lato, proseguire l’esperienza dell’esecutivo Conte, evitando però di essere ulteriormente “vampirizzato” dalla morsa leghista.
Tuttavia, anche Matteo Salvini potrebbe avere alcuni grattacapi. Ed è interessante per questo richiamare un passato abbastanza recente. Il tutto, per fare un paragone forse azzardato ma suggestivo tra due “Matteo” quantomai diversi ma mai come oggi vicini.
Torniamo dunque al 2014, esattamente 5 anni fa, il giorno dopo il voto di quelle europee in cui fu il PD ad ottenere percentuali che oggi diremmo “salviniane” (e anche più. Nel 2014, il PD arrivò al 40,82%. Ebbene, sia in quel caso che in quello odierno, ambo i partiti vincitori (PD e Lega) hanno beneficiato della popolarità estrema dei loro leader. Tradotto, quel magnetismo capace di catturare voti da parte di entrambi i “Matteo” in questione. Il primo (Renzi) nel maggio 2014 era a livelli di popolarità altissima, una cattura-voti capace di attrarre anche i moderati al di fuori degli schemi tradizionali del PD. Sappiamo tutti poi come andò a finire, tra lo “scacco” ad Enrico Letta e il referendum costituzionale.
Oggi, la Lega beneficia dell’altro Matteo (Salvini), che è mediatamente straripante e sulla cresta dell’onda. Ora, a Salvini, che pare quasi nella medesima posizione di forza dell’omologo Renzi, non dovrà commettere gli stessi errori. Renzi, forte del risultato europeo, puntò subito a divenire Premier. Tuttavia, il già citato scacco ad Enrico Letta, gli costò i primi mal di pancia dalla sua base.
Di lì, dopo il primo idillio, si sarebbe innescata la parabola discendente di Renzi che lo avrebbe portato poi alla débâcle della sua popolarità. Ora Salvini avrebbe la possibilità di compiere anch’egli un upgrade alla stregua del Renzi 2014. Ovvero, un passo in più verso il “Salvini premier”, magari facendo esplodere un crisi di Governo per andare a nuove elezioni e divenire Primo ministro. Tuttavia, ha già dichiarato che non chiederà nuove poltrone, non chiederà nuovi ministeri per i leghisti e che non metterà in discussione la vita dell’esecutivo Conte. Dobbiamo fidarci? Probabilmente sì: colpi di mano non ce ne saranno. Perché, in fondo, dagli errori si impara. E Matteo (Salvini) potrebbe aver imparato dall’altro Matteo (Renzi).
Articolo di Federico Gonzato