Ci siamo, tra pochi giorni sarò di nuovo in Italia. Sono entusiasta e malinconica allo stesso tempo: mi sarebbe piaciuto aspettare e analizzare il clima post-elettorale nel lungo periodo, parlare dei cambiamenti che forse ci saranno. Ma ad aspettarmi ci saranno i passatelli di mia nonna e tonnellate di prosciutto crudo, poco male.
Prima di chiudere questa brevissima rubrica, ho pensato di condividere con voi – lettori di Schegge – un ultimo racconto, uno dei ricordi di questa esperienza che conserverò più gelosamente.
Stavolta non c’è un obiettivo. Non voglio capire cosa succede, non voglio spiegare perché parlare di anxiety. Al contrario, voglio invitarvi ad arrendervi davanti al senso di incomprensione che spesso proviamo quando cerchiamo di analizzare la politica e la cultura di un Paese straniero.
Io ci sto provando.
Pochi giorni prima delle elezioni di metà mandato, a inizio novembre, ho affittato una macchina e guidato fino ad una piccola cittadina dell’Ohio, Kent. Sono stata ospite di una famiglia composta da un’insegnante di tedesco e un diplomatico ai tempi della guerra fredda, entrambi in pensione. Non starò qui a spiegare l’entusiasmo che mi ha travolto quando ho scoperto che i due avevano vissuto a Bonn, capitale della Germania dell’Ovest, tra il 1988 e il 1991. Basterà sapere che ero effettivamente entusiasta, ma chi non lo sarebbe stato: i due hanno vissuto in prima persona uno dei momenti più delicati della politica internazionale e a me sarebbe bastato non sembrare indiscreta per togliermi qualche curiosità.
Quando ho detto a Craig e Karen – così si chiamano – di aver studiato Scienze Internazionali e Diplomatiche, loro hanno sùbito iniziato a pormi una sfilza di domande su fatti di politica internazionale. Non mi chiedevano tanto se conoscessi la storia, mi chiedevano piuttosto cosa ne pensassi. Io ammetto di essermi sentita intimidita dal fatto che mi chiedessero di esporre opinioni personali, in fondo una parola di troppo sarebbe stata sufficiente a rendermi inopportuna.
Ma in fondo, ho pensato, un’occasione del genere non mi sarebbe capitata di nuovo.
Ovviamente dopo solo pochi minuti siamo finiti a parlare delle Midterm.
“Hai avuto modo di farti un’opinione?”, mi chiede Craig. Rispondo: “Ci sto provando, ma non è facile. Non mi piace dare giudizi affrettati e il modo in cui i media ne parlano mi confonde. Sto aspettando di vederci chiaro”.
Lui annuisce e ironicamente dice: “Tranquilla, non vediamo chiaro neanche noi”. La cosa naturalmente non mi sorprende, chiunque in quei giorni non faceva altro che dire di essere confuso.
“È quello che dicono tutti”, replico io, “Onestamente sto iniziando ad innervosirmi. Nessuno sembra avere un’opinione o nessuno sembra saper giustificare le proprie opinioni”. Craig scoppia in una risata: “Sai, a volte anche noi abbiamo la stessa sensazione quando riceviamo notizie dall’Europa”. In qualche modo mi sento rimproverata, so che è probabile che anche loro percepiscano la politica internazionale allo stesso modo, eppure io di quello che succede in Europa ho un quadro abbastanza chiaro, o comunque saprei dove ricercare informazioni.
Ad ogni modo, cerco di spostare il discorso sul populismo. Nei mesi scorsi ho provato più volte a proporre un confronto tra i populismi europei e Trump. Ma nessuno, né professori né compagni di corso, sembrava interessato. Inizio quindi a parlarne con Craig e Karen, sperando che loro ne siano finalmente entusiasti.
Mi sbagliavo, e in realtà comincio a pensare che qui non si sappia granché dei populismi europei. Ma fortunatamente la conversazione scivola comunque in un confronto Europa-USA, e io mi diverto a spiegare a grandi linee il sistema politico europeo o più in generale cosa ci piace sentirci dire quando guardiamo gente fare politica. Loro mi ascoltano interessati e non sembrano essere particolarmente sorpresi da quello che dico. Tutt’altro, capisco che sono perfettamente consapevoli di quanto siano diverse tra loro le due sponde dell’Atlantico. Mi sento sollevata, non devo dilungarmi in spiegazioni. Ma in fondo sto parlando con un ex-diplomatico, chi meglio di lui.
Craig aspetta che io finisca di dire quanto mi risulti difficile capire certe manovre politiche americane, poi fa un’osservazione: “Ci sono due cose che gli Europei non capiranno mai della politica statunitense”. Mi ha incuriosito.
“La prima è il senso religioso che noi abbiamo”, continua Craig, “È importante. God bless America. So che per voi è difficile da capire, ma qui la politica è estremamente legata al concetto del God bless America. Lo senti nei discorsi, lo vedi negli spot di qualsivoglia campagna elettorale, il senso religioso è parte integrante del cittadino americano medio”.
Vero, penso io. Non mi è affatto nuovo come concetto, ma non lo avevo mai usato come spunto di analisi se non in relazione ai passati attentati terroristici.
Craig riprende: “La seconda cosa è il fatto che agli Americani non piacciono le regole. I cittadini americani non vogliono che il governo si intrometta in ogni dove, deve stare lontano dall’economia o che ne so. Ad esempio, piuttosto che avere un’unica legge elettorale valida in tutta la confederazione, gli Americani preferiscono che ogni Stato decida le sue regole per sé. Tutti devono essere liberi”.
E in effetti, non mi è nuovo neanche questo di concetto. Ma Craig mi ha invitato effettivamente a guardare le cose da un’altra prospettiva.
Certo sarebbe più facile se tutti gli Stati Uniti adottassero le stesse leggi elettorali, sanitarie, economiche, se votassero a referendum le stesse iniziative. E soprattutto se tutti lo facessero contemporaneamente, condizione assolutamente anomala al momento.
Ma sarebbe più facile dal nostro punto di vista, per come siamo abituati a vivere la politica noi Europei. Riforme del genere in America scatenerebbero con ogni probabilità proteste e rivolte.
Noi non possiamo capire fino in fondo.
E io ammetto di essermi felicemente arresa davanti all’evidenza cui Craig mi ha posto. Non ho più cercato ossessivamente di capire. Non secondo i miei preconcetti. Ho piuttosto accettato che Europa e Stati Uniti sono diversi e difficilmente paragonabili. Addirittura opposti, in fondo di mezzo c’è un oceano.
Articolo di Ludovica Grimaldi