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5 Dicembre 2018 / Culture

Ce la possiamo fare, Charlie Brown

 

Di solito chi scrive tende ad essere sempre molto egocentrico e narcisista e a infilare se stesso a tutti i costi dentro i suoi brani perché è troppo timido per farlo nella vita vera – io non faccio eccezione; anzi, a volte sono anche peggio.

In ogni modo, siccome parlare di sé è più facile che parlare di altri – perché fondamentalmente quando scrivo lo faccio per capire, esorcizzare e metabolizzare la realtà che mi circonda –, e siccome i Peanuts mi toccano molto intimamente proprio perché esorcizzano la mia stessa realtà parlando di cose a me vicine, aprirò il mio ego timido ma smisurato e racconterò una storia che parla di me e di Charlie Brown.

C’è una ragazza che mi piace, in questo periodo – che mi piace da un po’, anzi –, e so chi è, so come si chiama e so dove vive – più o meno –, eppure non le parlo, non la cerco e non tento di conoscerla meglio, e tutto questo perché mi preoccupo come Charlie Brown di quello che potrebbe dire, di quello che potrebbe fare – ho paura che mi riderebbe in faccia.

Sì, passo i miei pomeriggi a far finta di scriverle valentine – sono convinto di volergliele consegnare –, ma la verità è che come Charlie Brown non ho il coraggio di fare niente, non riesco a parlarle anche se vorrei e come Charlie Brown odio non riuscire in tutto questo – ma è più forte di me. Quando dicevo che i Peanuts mi toccano da molto vicino e molto intimamente intendevo proprio questo – vedi vignetta a lato –, intendevo che io sono davvero Charlie Brown in tutte le sue nevrosi, le sue fisime e i suoi tarli – e non solo per questa ragazza o solo in questo periodo della mia vita, ma sempre, con qualunque donna, in qualunque situazione –, e lo sono così perfettamente che il mio amore per questa striscia diventa obbligatoriamente incondizionato.

Cosa fare, dunque? Non lo so. Sì, i Peanuts mi salvano sempre la vita quando sono tremendamente solo, ma ad un certo punto non dovrei smettere di essere Charlie Brown e mettere in pratica gli insegnamenti appresi? Perché non lo faccio? Perché è più forte di me?; perché la buona scrittura c’è solo nella triste solitudine?; perché mi piace avere questa compagnia?; perché sono un masochista? Forse sono davvero così troppo Charlie Brown che non voglio perdere la sua compagnia?

L’importanza che i Peanuts hanno per me è incalcolabile: se la letteratura salva la vita, se la letteratura ci serve quando siamo tristi o soli – perché se fossimo felici basterebbe la nostra stessa felicità per star bene –, se la letteratura serve a tutto questo, allora i Peanuts sono la letteratura che più di tutte mi ha sempre salvato, sempre aiutato e sempre consolato – perché se Charlie Brown si sente esattamente come me quando deve parlare a una donna, allora io non sono solo; anzi, sono quasi felice nella mia tristezza.

Parafrasando Eco e citando ancora una volta Wallace, se la vera letteratura si occupa di cosa vuol dire essere un cazzo di essere umano, allora i Peanuts sono vera letteratura; e la loro grandezza e la loro bellezza è proprio questo occuparsene tremendamente bene ma con semplicità, ma semplicità che non è semplice, casomai leggera – una leggerezza calviniana –, con e in un mondo infantile che acuisce questa leggerezza parlando di bambini, di cose stupidine, di sciocchezze, di noccioline, spesso di cose più serie ma sempre con facilità, con ironia, con pochezza – ma pochezza nel senso di sintesi, e sintesi nel senso di dire tanto con poco –, con bambini che sono metafore di noi adulti perché tutti lo siamo stati e poi siamo cresciuti – e a volte dovremmo esserlo ancora, soprattutto per planare sopra le cose spesso difficili. Perché tutti noi siamo Charlie Brown, perché i Peanuts mi consolano e le emozioni che provano i personaggi e le cose che fanno mi suscitano emozioni – a volte armoniche e a volte contrastanti con le loro –, e con loro sorrido e piango e sono meno solo, tremendamente meno solo.
Grazie, Charlie Brown; ti saluto, Charlie Brown; alla prossima Charlie Brown.

Articolo di Alessandro Mambelli

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