Eva Klotz racconta alcuni dei punti salienti del suo movimento politico, tra federalismo e indipendentismo.
Eva Klotz è la leader del principale movimento indipendentista sudtirolese Süd-Tiroler Freiheit – Freies Bündnis für Tirol (Libertà sud-Tirolese – Libera alleanza per il Tirolo). Il movimento, nato nel 2007, è la principale voce indipendentista e federalista del Sudtirolo e la signora Klotz spiega nei dettagli alcuni punti cardine di questo progetto politico, col primo piano rivolto al tema dell’autodeterminazione, da attuare attraverso un referendum esteso su larga scala regionale.
Dal punto di vista storico, il Trentino-Alto Adige/Südtirol fu annesso all’Italia attraverso il Trattato di Saint-Germain del 1919 e il principio di autodeterminazione dei popoli fu, già allora, di forte attualità. Era, infatti, presente nel famoso discorso, quello dei 14 punti, del 3 gennaio 1918 al Congresso di Washington, tenuto dall’allora presidente americano Wilson.
Buongiorno signora Klotz e grazie per la sua disponibilità. Partendo dal punto chiave, quello dell’indipendentismo, l’obiettivo è quello di annettere il Sudtirolo all’Austria o di creare un micro-stato?
“Il presupposto da cui partire è legato, innanzitutto, alla possibilità di indire un referendum: garantire la scelta, ad ogni cittadino avente diritto di voto, se restare nello Stato italiano, se preferire l’annessione all’Austria o se creare uno Stato indipendente e sovrano. Io, personalmente, opterei per la riunificazione del Tirolo. Sulle realtà regionali, dal mio punto di vista, l’Unione Europa dovrebbe porre maggiore attenzione: non solo, quindi, rivolgendola ad ogni suo Stato membro ma anche verso un territorio regionale minore, come nel caso del Tirolo, partendo sempre dal principio di autodeterminazione dei popoli, estendendo allo stesso tempo una rete volta a promuovere l’uguaglianza delle regioni e la sussidiarietà, attraverso un tipo di politica federalista”.
Considerando altre realtà indipendentiste in Italia, stringete rapporti anche con altri movimenti indipendentisti, per esempio quelli veneti?
“Sì, specie attraverso il partito Alleanza libera europea: noi come movimento abbiamo contatti con i triestini della Slovenska Skupnost (Unione Slovena), i friulani della Patrie Forlane, con i valdostani dell’Union Valdôtaine, con la Liga Veneta Repubblica, col Partito Sardo d’Azione: con gruppi ideologicamente affini al nostro, quindi, che si sentono etnicamente non italiani”.
Nel vostro movimento, come vedete quella che ieri era la Lega Nord indipendentista padana e oggi, invece, la Lega orientata al nazionalismo italiano?
“Con Bossi condivisi 30 anni fa (prima ancora che la Lega Nord andasse al governo) le posizioni federaliste ed ero solita vederlo ai relativi congressi, tra cui a Vicenza e a Milano: quando Bossi scelse di correre accanto a Berlusconi, divenni più scettica in merito alla sua scelta. Salvini, invece, di persona non lo conosco ma considerando la sua visione europea diversa dalla nostra (noi non mettiamo in dubbio l’Unione Europa e la sua istituzione), non saprei dove collocarlo, perché non si capisce bene dove vuole correre. Lo vedo più propenso a favorire una politica di tipo centralista rispetto ad una, invece, federalista”.
Sull’orientamento politico del Süd-Tiroler Freiheit, spesso si legge che virate verso destra, anche quella più estrema; altre volte, si dice che siete di sinistra; altre ancora, che la vostra è più un’anima liberale… Qual è esattamente la vostra posizione ideologica in merito a ciò?
“Innanzitutto, rido quando ci etichettano di destra e chiedo spesso ai miei interlocutori quali sono gli elementi di destra della nostra visione: non ricevo alcuna risposta. Siamo federalisti, intendiamo perseguire modelli legati alla sussidiarietà. Siamo ben lontani, quindi, dalla destra maggiormente legata ad un tipo di politica centralista. A parte ciò, noi non abbiamo una precisa posizione ideologica. Il nostro obiettivo sta al di sopra di ogni ideologia e se proprio dobbiamo parlare di questo, l’autodeterminazione, a livello internazionale, mantiene un maggiore legame con la sinistra, basti vedere la Catalogna e i suoi movimenti repubblicani”.
Parlando, invece, della convivenza tra la popolazione di etnia tedesca e italiana in Alto Adige/Südtirol, come vede la scuola linguisticamente separata? Sarebbe favorevole all’abolizione di questo tipo di sistema scolastico locale o lo trova, invece, efficace?
“La tutela tedesca e ladina è uno dei punti principali dello Statuto autonomo e se dovessimo perdere entrambe le lingue, l’autonomia non avrebbe più alcun senso di esistere dal punto di vista umano. Per questo ci sono state dure battaglie per avere la scuola tedesca nel primo dopo guerra, verso la fine degli anni ’40: ciò significa garantire un insegnamento di tutte le materie in tedesco, con un tot di ore di lingua italiana.
Su questo noi siamo molto fermi e sosteniamo questo principio, lottando democraticamente, perché se guardiamo alla Valle d’Aosta, lì, dopo la guerra, fu fondato un tipo di scuola in cui si insegnava metà in italiano e metà in francese: col passare del tempo, però, sono aumentate le materie in italiano, lasciando l’insegnamento del francese solo per la materia relativa alla lingua ed oggi, spesso, i docenti di francese non sono di madrelingua (in quel periodo l’80% della popolazione dichiarò di parlare francese o, almeno, di capirlo, ora invece solo il 2%).
In quanto all’apprendimento dei termini tecnici di una e dell’altra lingua, spesso, dipende dai casi: questo non è un problema quando in una famiglia ci sono genitori esperti (per esempio ambasciatori o professori) che mandano i figli in una scuola in lingua straniera, ma se ci sono genitori, invece, che svolgono altri lavori e conoscono un minor numero di termini tecnici, il discorso cambia. Visto quanto accaduto negli ultimi 50-60 anni in Valle d’Aosta, la scuola in madrelingua è uno dei pilastri della nostra società: se perdiamo la lingua, perdiamo la nostra identità e rischiamo, quindi, di ritrovarci dove l’Italia vorrebbe sicuramente vederci, cioè farci diventare una normale provincia che parla solo in italiano. Consideriamo, inoltre, un altro tassello dell’identità, cioè la storia: si studia spesso poco o niente la storia locale regionale, dando maggiore spazio invece a quella nazionale italiana”.
Tra gli iscritti nel vostro movimento, ci sono militanti col cognome italiano?
“Sì, ci sono, quelli che hanno i nonni discendenti da altre regioni italiane, così come quelli coi cognomi italianizzati sotto il fascismo: per esempio, chi aveva il cognome tedesco Brunnen fu costretto a cambiarlo, traducendolo in Fontana: persino nei cimiteri, sulle lapidi dei defunti, chi si chiamava Hans Brunner diveniva Giovanni Fontana. Un vero e proprio crimine culturale! Ci sono anche nomi geografici che prima del fascismo erano validi per entrambe le lingue e che, successivamente, furono tradotti, se non inventati, in italiano: dal fascismo in poi circa 8000 nomi di località hanno ricevuto il nome che suona italiano”.
Articolo di Nicola Pisetta