Come già preannunciato l’ordine dei film che recensisco non segue alcuna logica, è tutta una questione di ispirazione momentanea.
In questo momento della mia vita sono particolarmente attratto dal mondo dell’eros, soprattutto se analizzato e reso artisticamente. La mia scelta per questa settimana ricade quindi su un film erotico ma allo stesso tempo estremamente politico: Paprika di Tinto Brass del 1991. Si tratta di una pellicola tratta dal romanzo Fanny Hill di John Cleland, interpretato da Debora Caprioglio, che interpreta Mimma, una diciottenne che lavorerà per quindici giorni nella casa di tolleranza gestita da Madame Colette (Martine Brochard), per aiutare economicamente il fidanzato Nino (Luigi Laezza).
IL DIBATTITO SOLLEVATO DA TINTO BRASS
Il dibattito sollevato dal regista veneziano con questo film è estremamente sentito e mediaticamente rilevante: la riapertura delle case chiuse, rese illegali dalla Legge Merlin nel 1958.
Come spesso accade nella poetica di Brass però il senso più profondo della pellicola si perde nella lussuria e nella passione del regista per i corpi.
Questa è stata un’arma a doppio taglio per tutta la carriera del Maestro dell’erotismo veneziano. Il suo amore e la sua ossessione per l’estetica femminile lo hanno portato spesso ad essere criticato e dileggiato dalla critica ma amato nel privato e nell’intimità. Allo stesso tempo in questo film, Brass riesce a ricreare l’autentica atmosfera delle case chiuse dell’epoca, fatta di disordine, perversione e sovrabbondanza sessuale.
I LIMITI DI PAPRIKA
Ho trovato rivedibile il film dal punto di vista recitativo e dialogico, se non fosse per Debora Caprioglio. Quest’ultima è stata in grado di cogliere l’essenza delle meretrici di bordello dell’Italia degli anni ’50. Le sue forme e la sua sensualità l’hanno resa credibile e autentica.
Ho trovato estremamente adatta anche la colonna sonora del film, composta da Riz Ortolani, che si fonde con la sinuosità delle forme femminili presenti nella pellicola.
TINTO BRASS COME VIRGILIO
Vi consiglio di guardare questa pellicola, anche se vi scandalizzerete. Nella vostra intimità e nei meandri della vostra mente, però, sono sicuro che Tinto Brass riuscirà ad affascinarvi e a incuriosirvi sulla realtà delle case di tolleranza italiane.
In ogni film, in particolare in questo, il regista veneziano rappresenta il Virgilio della Divina Commedia.
È colui che ci accompagna nelle segrete stanze dell’animo umano e delle perversioni. Rappresenta il Marchese de Sade del libertinismo. Racconta il vizio e lo spirito dionisiaco senza mai perdere di vista il mezzo attraverso cui vuole metterli in scena.
SECONDA PARTE
Per chi ha voglia di rivedere un classico dell’erotismo italiano, questo film è perfetto. Certo, il film è ambientato negli anni ’50 ma è rappresentativo di un decennio, quello degli anni ’90, in cui la prorompenza dei corpi femminili e l’attenzione per le forme ha il dominio nella scena televisiva e mediatica. Non ci si scandalizza più per i seni, per le chiappe e per rapporti sessuali non celati. Si cerca di fornire allo spettatore uno strumento per eccitarsi senza doversene vergognare.
Ecco, Tinto Brass è stato questo per molti italiani: una copertura culturale per delle perversioni altrimenti represse.
IL MESSAGGIO DEL FILM
Credo che molti di voi siano curiosi di comprendere le atmosfere che si respiravano nei bordelli dell’epoca, di capire cosa volesse dire avere rapporti sessuali a pagamento pur agendo nel pieno rispetto della legge. Tinto Brass prova a catapultare l’uomo (e le donne) degli ‘anni 90 in un contesto ormai dimenticato.
Lo sfruttamento e la prostituzione per le strade sono, nel 1991 (anno di uscita del film), all’ordine del giorno e il regista vuole tentare di portare sotto i riflettori dell’opinione pubblica un tema che viene continuamente discusso ma per cui non si fa mai nulla.
Viva Tinto Brass e viva il suo cinema erotico!
Articolo di Matteo Sportelli