Sono passati sette anni dalle “Primavere Arabe”, le rivolte popolari che nel corso del 2012 hanno scosso il Medio Oriente e il Nord Africa, spazzando la maggior parte dei regimi autoritari. Tuttavia, c’è ancora un paese in particolare che non smette di tremare: la Siria. Qui, le dure repressioni del governo sui manifestanti hanno trasformato la natura del conflitto politico-sociale ad una dimensione settaria. Una dimensione, questa, rafforzata dall’appoggio del regime su gruppi paramilitari di difesa. Questi ultimi appartengono per la maggior parte alla comunità alawita. La dimensione confessionale del conflitto vede da una parte il fronte sunnita, generalmente identificato col movimento dei Fratelli Musulmani; dall’altra c’è invece il fronte alawita, associato al regime degli al-Assad.
L’evoluzione degli eventi cambia con la creazione del principale gruppo di opposizione armata al regime, l’Esercito Siriano Libero. L’esercito è costituito da ufficiali, soldati e generali disertori dell’esercito filogovernativo; questi decidono di schierarsi dalla parte del popolo. Questa militarizzazione dell’opposizione ha decisamente convertito le ondate di proteste nella guerra civile; l’infiltrazione di piccoli gruppi armati di matrice islamica ha definitivamente trasformato la natura della crisi siriana. Una crisi che ha assunto i tratti di un vero e proprio conflitto internazionale con l’entrata in campo delle maggiori potenze mondiali. Oggi l’assetto geopolitico del Medio Oriente dipende dalle sorti di questo paese. A quanto pare, però, nessun attore sembra intenzionato a sedersi al tavolo delle trattative con i propri nemici.
Dal momento che ci troviamo di fronte ad una pluralità di fonti, punti di vista, attori e regioni coinvolti, diventa difficile capire chi sia il buono e chi sia il cattivo in questa storia. I media operano in un contesto profondamente alterato da vincoli, restrizioni e censura; l’operato dei quotidiani e delle emittenti radiotelevisive locali è soggetto a ritorsioni e minacce da ogni fronte. I mezzi di informazione in questo paese sono sottoposti ad un duro controllo da parte dello stato. Per questo motivo rimane molto difficile offrire e ricevere informazioni dettagliate e corrette sugli eventi in corso.
La Siria, il paese dove la Primavera non è mai arrivata
Nelle informazioni diffuse dal regime, i manifestanti nelle piazze vengono dipinti come terroristi che cercano di destabilizzare il paese. L’instabilità del paese e la mancata libertà di stampa ed espressione – tutt’ora garantita dall’articolo 38 della Costituzione siriana del 1973 e confermata dalla revisione del 2012 – hanno portato molte iniziative mediatiche ad emigrare al di fuori del territorio siriano. La maggior parte delle pubblicazioni usano spesso una retorica rivoluzionaria, libera da ogni parvenza di obiettività e neutralità. La maggior parte di essi sono state lanciate da militanti, studenti e laureati, senza alcuna precedente esperienza giornalistica. Nei loro tentativi di mettersi pienamente all’opposizione, questi “media rivoluzionari” imitano inconsciamente l’approccio del regime contro cui si oppongono, stabilendo la dialettica di “se non sei con noi, sei contro di noi“.
Le due potenze maggiormente interessate alle sorti della Siria, lo scorso 17 settembre 2018, hanno raggiunto un accordo bilaterale su Idlib, l’ultima zona sotto controllo dei jihadisti. Nell’accordo di Sochi, il presidente russo Vladimir Putin e il leader turco Recep Tayyip Erdogan si sono impegnati a combattere il terrorismo in Siria in tutte le sue forme. In particolare, a partire dalla creazione di una zona cuscinetto demilitarizzata di circa 15-20 chilometri, tra i combattenti e l’esercito russo, all’interno del quale saranno banditi tutti i carri armati, l’artiglieria pesante e i mortai entro il 10 ottobre.
In tutti questi anni di guerra, Bashar non ha mai dimostrato il minimo intento a fermarsi nella lotta contro i ribelli e dimettersi dalla presidenza. Il tutto, nonostante le molteplici sollecitazioni da parte dell’alleanza occidentale.
Il paese, conquistato con il golpe dal padre nel lontano 1970, difficilmente verrà ceduto in mano all’opposizione visto i recenti sviluppi del conflitto. La guerra siriana si è articolata su più fronti, nel contesto del quale si è generata anche una guerra parallela contro lo Stato Islamico. Oggi, il futuro della Siria appare incerto. Tuttavia, sappiamo ciò che la diplomazia deve fare per non fallire. Diversi attori devono sedersi al tavolo delle trattative ed essere inclusi nel processo di pace e state building, affinché un Iraq post Saddam non si ripeta più.