Il governo giallo-verde alla partita delle nomine ai principali enti pubblici
Lo chiamano governo del cambiamento, ma la consolidata pratica della lottizzazione molto probabilmente resterà. La riprova di ciò è la partita delle nomine ai principali enti pubblici. Una questione che si è aperta da tempo, e che ha già fatto discutere parecchio. Tra le varie nomine in ballo, infatti, ritroviamo ad esempio quella della Presidenza di un organo fondamentale. Stiamo parlando dell’Istat, l’Istituto Nazionale di Statistica. Ed è proprio su questo istituto che, a breve, potrebbe ripetersi la logica del “manuale Cencelli”.
La corsa alla Presidenza dell’Istat: una gara a due (o quasi)
Per capire bene di cosa stiamo parlando, prima di passare al nostro colloquio con il Prof. Lucio Picci, occorre mettere in fila alcuni punti cardine della faccenda che riguarda l’Istat.
Ciò che va preso in considerazione è la successione dei fatti sino ad oggi. Tutto ha inizio il 29 agosto scorso, quando termina di fatto il periodo di prorogatio del mandato dell’ormai ex presidente Giorgio Alleva. Economista, Classe ’55, Alleva era stato nominato alla carica di presidente dal Governo Renzi il 14 luglio 2014.

Giorgio Alleva, presidente uscente dell’Istat
Passati i cinque anni del suo mandato, Alleva avrebbe dovuto lasciare gli uffici di Via Balbo già a metà luglio. Tuttavia, il nome del suo successore in estate non c’era ancora, frutto di un ritardo da parte dello stesso Governo Lega-Cinquestelle. Il mandato di Alleva viene dunque prorogato di un mese. A fine Agosto, il Governo viene colto ancora impreparato. A quel punto interviene la Corte dei Conti, che per riparare la situazione di “eccezionalità” nomina come presidente ad interim dell’Istituto il suo membro più anziano, Maurizio Franzini.
La vicenda si fa ancora più spinosa. Questo perché, ad oggi, Franzini è ancora presidente “facente funzioni”, nonostante in estate fossero trapelate le dichiarazioni di quello che oggi è il candidato numero uno alla Presidenza: il demografo milanese, classe ’48, Giancarlo Blangiardo.
A luglio, come riportato dall’Huffington Post, il demografo, ha rivelato di essere stato contattato dal neo-ministro della PA Giulia Bongiorno. In più avrebbe rivelato:
“È molto probabile che mi debba trasferire a Roma”.
Stando a ciò, parrebbe che Blangiardo già a luglio sapesse di una sua sicura nomina.

Gian Carlo Blangiardo, il candidato in quota Lega
Un fatto, questo, che ha fatto insorgere il sindacato della Flc-Cgil. Il nome di Blangiardo è infatti uscito prima della pubblicazione dell'”avviso pubblico per manifestazione di interesse”, l’auto-candidatura come da prassi. Uscito l’avviso per le auto candidature, 40 tra docenti universitari di materie statistiche ed economiche si candidano alla guida dell’Istat. Tra di loro c’è Blangiardo, ma si aggiunge anche Maurizio Vichi, ordinario di statistica a La Sapienza di Roma. Lui, classe ’59, è il candidato in quota Cinquestelle.
Il candidato indipendente: alcune domande al Prof. Lucio Picci
La “lottizzazione” a tinte giallo-verdi pare dunque investire anche la nomina del futuro presidente dell’Istituto Nazionale di Statistica. In più, altro particolare interessante, se si leggono i curriculum dei due candidati “governativi”, si può notare come nessuno dei due abbia un dottorato di ricerca.
Anche se il risultato sembra scritto, ci sono tuttavia alcuni candidati indipendenti che hanno proposto la loro figura in alternativa al duo Blangiardo-Vichi. Tra questi “outsider” c’è Lucio Picci, economista e professore ordinario presso l’Università di Bologna. Picci, docente di Metodi Quantitativi ed Economia dei Media al Campus di Forlì, vanta un curriculum di tutto rispetto: svariati corsi in Gran Bretagna, tra l’Università del Sussex e di Hull; un “Masters of Arts” ed un dottorato di ricerca in economia presso l’Università della California, sotto la supervisione del premio Nobel Robert Engle.
Nel 2016, Picci condusse una battaglia contro il plagio da parte dei docenti universitari facendo obiezione di coscienza e rifiutandosi di vigilare in occasione degli esami dei suoi studenti.
Dopo due anni da quella dimostrazione, l’economista romagnolo si candida ad un ruolo di primo piano, ben conscio della sua posizione di scomodo outsider. Per questo, noi di Schegge l’abbiamo contattato e con lui abbiamo avuto un bel colloquio a proposito della sua candidatura, nonché del futuro dell’Istat e della ricerca statistica.
Professor Picci, in quale momento ha sentito la necessità di lanciare la sua candidatura a presidente dell’Istat? La sua è una provocazione?
No, se non in un senso molto particolare. Mi occupo di produzione e di analisi di statistiche da molti anni e ritengo di avere buone idee per il futuro dell’Istat. Inoltre, penso di avere un curriculum credibile per quel ruolo. Quel che può apparire inusuale e per questo provocatorio è che, unico tra i candidati, abbia pubblicato nel Web il mio programma. Ma c’è un motivo per questo.
La procedura per la nomina del Presidente dell’Istat è articolata, ed è bene capire il perché. Avviene con un Decreto del Presidente della Repubblica, che segue una designazione da parte del Consiglio dei Ministri, e prima di quello, un’indicazione da parte del Presidente del Consiglio – che tipicamente ascolta quanto consiglia il Ministro della Pubblica Amministrazione – ora, l’On Bongiorno. E inoltre, vi è un’audizione del prescelto da parte delle Commissioni Affari Istituzionali di Camera e Senato, che danno un parere non vincolante.
È una procedura articolata perché è chiaro a tutti che l’Istat è un’istituzione delicata: le statistiche ufficiali che essa produce devono essere credibili, e per questo l’Istat deve essere indipendente. Sarebbe gravissimo, per dire, se il governo potesse nominare una persona di cui “si fida” in un senso grossolano del termine, perché pensa possa aiutarlo a manipolare i dati a suo favore. Del resto, tutta l’impalcatura legislativa italiana ed europea è tesa a garantire indipendenza, imparzialità e qualità delle informazioni statistiche.
E questo spiega, in parte, perché ho pubblicato il mio programma: il mio è anche un segnale di indipendenza, oltre che di trasparenza. La mia candidatura non è collegata a nessun partito. Un candidato che ritenga di avere buone “entrature” altolocate utilizza il telefono, non il Web. La mia è una candidatura indipendente e a viso aperto. Anche per questo è forte e credibile.
Visto anche ciò che è accaduto rispetto alle polemiche su un’altra figura pubblica come quella di Tito Boeri (Presidente INPS), ritiene che le modalità della nomina di questa carica, come altre, siano eccessivamente condizionate dai governi di turno?
Non mi esprimo sul merito di quella vicenda, e in ogni caso l’INPS non è l’Istat. Riguardo a quest’ultima, c’è un fatto da tenere a mente e che giustamente avete ricordato nelle righe precedenti. Prima dell’estate, alcuni mezzi di informazione affermarono che il Prof. Gian Carlo Blangiardo veniva dato quasi sicuramente come Presidente dell’Istat – lui stesso avrebbe dichiarato che “è molto probabile che mi debba trasferire a Roma”. Neanche commento la scortesia istituzionale, oltre che l’ingenuità, di una tale affermazione: non si anticipano le scelte che, alla fine, si leggeranno su un Decreto firmato dalla più alta carica dello Stato.
È apparso poi un articolo su “La Repubblica” secondo il quale, oltre al Prof. Blangiardo “molto gradito alla Lega”, l’altro “candidato di bandiera” sarebbe il Prof. Maurizio Vichi “preferito invece dal Movimento [5 stelle]”. Io non faccio processi, ma in questi casi contano anche le apparenze, e per questo esprimo preoccupazione. Gli italiani hanno il diritto a statistiche di cui ci si possa fidare. Una precondizione per questo è che l’Istat ed il suo Presidente siano indipendenti. E io indipendente lo sono.
Scorrendo il suo programma (vedi il testo), pubblicato sul suo sito Internet, si legge la volontà di migliorare la sinergia tra le varie pubbliche amministrazioni. Come pensa di intervenire nello specifico a livello delle banche dati e sul tema della privacy in un contesto in cui non è pienamente compiuto il processo di digitalizzazione?
Con riferimento alla digitalizzazione, si può argomentare che si debba fare di più, ma in ogni caso le amministrazioni pubbliche italiane già oggi possiedono una grande quantità di banche dati in formato digitale. Si tratta di prendere atto di trasformazioni che già sono in corso da decenni, e di trarne le conseguenze. Del resto, all’interno degli istituti nazionali di statistica come l’Istat, da tempo si discute di “statistiche amministrative”: quelle statistiche che si ottengono da basi di dati che le amministrazioni detengono per il loro funzionamento quotidiano. Molte statistiche attuali sono già di questo tipo.
Queste trasformazioni hanno avuto dei riflessi importanti nell’organizzazione dell’Istat: c’è stata una riorganizzazione, messa in atto dal suo ultimo Presidente, il Prof. Giorgio Alleva, che oggi è a metà del guado. Da essa non si torna indietro: va portata a termine, realizzando gli aggiustamenti che saranno necessari. E si devono affrontare con decisione i problemi che si sono avuti: tra questi, si registra un rapporto difficile con il Garante della privacy, che a più riprese ha di fatto rallentato il lavoro dell’Istat, ponendo vincoli e divieti la cui ratio non è sempre chiara.
E al riguardo, più forte deve farsi il punto di vista dell’Istat, che è a difesa del diritto degli italiani a conoscere.
Soprattutto per quel che riguarda le amministrazioni pubbliche, dovrebbe prevalere il diritto dei cittadini alla trasparenza e alla leggibilità complessiva dell’azione dello Stato. Si tratta di un punto di vista che, insieme al Prof. Alberto Vannucci dell’Università di Pisa, esponiamo in modo articolato in un libro appena pubblicato, “Lo zen e l’arte della lotta alla corruzione” (Altreconomia). (link: https://altreconomia.it/prodotto/lo-zen-e-larte-della-lotta-alla-corruzione/)

Lo Zen e l’arte della lotta alla corruzione, di Lucio Picci e Alberto Vannucci (Altraeconomia).
Lei è un professore universitario che in tempi non molto lontani si è speso non poco in merito alla qualità della ricerca universitaria. Questo problema lo rileva anche per quanto riguarda l’Istat nel suo documento. Quali potrebbero essere le soluzioni per valorizzare la vocazione dell’ente alla ricerca?
L’Istat è sia ente di produzione, sia di ricerca. Si tratta di due obiettivi in parte divergenti, che inevitabilmente creano qualche tensione: le risorse sono scarse e non si può fare tutto come si vorrebbe. Ma al tempo stesso, per produrre buone statistiche, con tecniche corrette e avanzate, è necessario esser vicini “alla frontiera” della ricerca. Nel mio programma ho esposto alcune idee concrete su come questi due obiettivi possano essere coniugati, rafforzando la vocazione dell’Istat di ente di ricerca. E rafforzando quindi l’Istat nel suo insieme.
Guardando agli altri candidati, Blangiardo (in quota Lega), lo scorso 24 luglio, aveva sostenuto al Giornale che non ci sarebbe più posto per altri migranti, in aperto contrasto sempre con Tito Boeri. Come si pone rispetto a questa esternazione? Da economista, ritiene che la critica mossa da Blangiardo possa avere fondamento?
Non entro nel merito delle opinioni che il professor Blangiardo, come studioso e come cittadino, ha tutto il diritto di esprimere. Il problema è che, a prescindere dal merito delle opinioni espresse, si possa creare la percezione che il Prof. Blangiardo sia stato, per così dire, “pre-selezionato” (a prestar fede a quanto riportato dalla stampa) perché le sue opinioni piacciono a un partito di governo. Perché in quel caso, il timore che le stesse opinioni possano poi orientare l’attività dell’Istat, in modo partigiano, è non solo legittimo, ma doveroso.
Ritengo che un Presidente dell’Istat, o anche un candidato a quel ruolo, debba fare un passo indietro e, semplicemente, evitare di entrare nel merito di certi dibattiti. Perché, nuovamente, anche l’apparenza conta, dato che può influenzare negativamente la realtà: scalfendo la fiducia degli italiani nelle statistiche ufficiali. E questo sarebbe molto grave.
In merito all’ultimo Presidente dell’Istat Giorgio Alleva, lei si pone in continuità o in discontinuità?
In questi casi si usa una formula: “cambiamento nella continuità”. Il Prof. Alleva ha indicato una linea strategica sostanzialmente corretta ed è stato un buon presidente. Detto questo, ho le mie idee e il mio stile nel portarle avanti.
Articolo ed intervista a cura di Federico Gonzato e Piero Battaglia
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