La bufera giudiziaria sulla Lega di Salvini
In queste ultime ore si è aizzata la polemica contro il Ministro degli Interni nonché segretario della Lega Matteo Salvini. Il fatto al centro del dibattito di questi ultimi giorni è quanto scritto nelle motivazioni date dalla Corte di Cassazione, alla sentenza del settembre 2017.
In quell’occasione il Tribunale del Riesame di Genova aveva condannato Umberto Bossi, l’ex tesoriere del carroccio Francesco Belsito ed altri tre imputati. “Ovunque venga rinvenuta” qualsiasi somma di denaro riferibile alla Lega Nord – su conti bancari, libretti, depositi – deve essere sequestrata fino a raggiungere 49 milioni di euro, provento della truffa allo Stato per la quale è stato condannato in primo grado l’ex leader leghista Umberto Bossi. Questo è in sostanza il succo di quanto hanno riportato ieri i Supremi giudici.
Quella che proviene dalla Cassazione è solo l’ultima tegola che cade sulle spalle della “fu Lega Nord”. La disposizione del sequestro dei conti della Lega Nord è la chiusura di un ciclo. Un ciclo giudiziario, ma, come vedremo, anche storico e politico.
Il caso Bossi-Belsito: l’inchiesta sui rimborsi e i diamanti della Tanzania
La vicenda inizia nel 2015 quando la procura di Genova chiede il rinvio a giudizio nei confronti dell’ex segretario della Lega Umberto Bossi e dell’ex tesoriere Francesco Belsito.
Assieme a loro altri tre esponenti della vecchia Lega Nord. Stiamo parlando di Stefano Aldovisi, Diego Sanavio e Antonio Turci. Ad essi, si aggiungono anche il commercialista Paolo Scala e l’imprenditore Stefano Bonet. Questi ultimi due vengono rinviati a giudizio assieme al già citato Belsito per un’inchiesta collaterale a quella in cui è coinvolto Bossi, ovvero il riciclaggio di 5,7 milioni di euro per investimenti in Tanzania e Cipro. Parte dei soldi sarebbero stati spesi per l’acquisto di diamanti.
L’inchiesta che invece riguarda più direttamente Bossi – assieme sempre all’onnipresente tesoriere Belsito – riguarda l’uso improprio di denaro pubblico. Nello specifico, secondo l’accusa, sarebbero stati firmati rendiconti irregolari poi presentati in Parlamento al fine di ottenere, negli anni 2008 e 2009 rimborsi elettorali per 40 milioni. Tali rimborsi sarebbero stati poi utilizzati per scopi personali e per spese della famiglia Bossi e accoliti.
Il caso Bossi-Belsito: la laurea ad insaputa di Renzo Bossi
Tali scopi personali sono tutti “elevatissimi” e di peso. Secondo l’accusa, che indaga anche su Renzo Bossi (detto “il Trota”) il figlio del senatur, 500 mila di questo ammontare di denaro sarebbero stati spesi per l’acquisto di auto di grossa cilindrata, il pagamento di multe e contravvenzioni, spese necessarie per i lavori di ristrutturazioni in immobili di Roma e Gemonio e l’acquisto di una laurea in economia in quel di Tirana.
A sua discolpa, il lucidissimo Renzo Bossi sostenne: “Ho saputo della mia laurea in Albania solo dopo questa indagine”. Uno dei primi casi di laurea comunicata attraverso un avviso di garanzia. Immaginiamo dunque la contentezza del Trota, tutto affaccendato nei preparativi del rinfresco di laurea. Il tutto poi rovinato dall’avviso del tribunale: non si trattava di rinfresco ma di “al fresco”.
Nell’estate 2017, arrivano le condanne. Parliamo di due anni e tre mesi a Umberto Bossi e un anno e mezzo al figlio Renzo inflitti dal Tribunale di Milano per aver usato fondi del partito a fini personali. Condannato per appropriazione indebita anche il più volte citato Francesco Belsito a 2 anni e 6 mesi.
La risposta di Matteo Salvini alla decisione della Cassazione
Veniamo all’oggi. Alla decisione della Corte di Cassazione di confiscare qualsiasi denaro riferibile alla Lega, il neo ministro dell’Interno Matteo Salvini ha risposto così, ospite ieri sera del programma In Onda: “Quei 49 milioni di euro non ci sono, posso fare una colletta, ma è un processo politico che riguarda fatti di 10 anni fa su soldi che io non ho mai visto”.
Il fatto che non ci siano è vero: quei rimborsi se li sono intascati tutti la famiglia Bossi, il tesoriere Belsito e i sodali. Che Salvini non li abbia mai visti è possibile, ma sorge una domanda: dov’è stato l’attuale ministro dell’Interno durante tutti questi anni quando ancora era chiamato “l’erede di Bossi”?
Matteo Salvini, infatti, anche se giovanissimo, inizia la sua carriera politica nei primi anni ’90 e lo fa militando nelle Lega. All’inizio del suo cursus honorum, con essa ricoprì il ruolo di Consigliere comunale a Milano. Dunque, una vita nella Lega Nord, senza però mai sentire un benché minimo sospetto riguardo a rimborsi del partito volati per esempio in Tanzania.
Perché la Lega di Salvini potrebbe non restituire i famosi 49 milioni
Ovviamente, noi siamo un po’ maliziosi, ma la verità alla fine la conosce solo Salvini. Fatto sta però che a questo punto la nuova Lega per Salvini Premier potrebbe anche non essere costretta a ripagare la somma di denaro sottratta allo Stato. Infatti, c’è una chiave di volta importante da considerare: la nuova Lega (senza Nord) è un soggetto distinto dalla vecchia Lega Nord di cui era il segretario Bossi. La Lega per Salvini Premier è un soggetto del tutto parallelo al vecchio partito. La nuova Lega ha uno statuto distinto, un tesseramento tutto suo, un bilancio proprio ed un codice di raccolta del 2X1000 (D43) che è diverso da quello della vecchia Lega Nord di Bossi (D13).
A permettere tutto questo è stata l’azione del sapiente Roberto Calderoli. Oltre di leggi elettorali porcata, il vecchio Roberto sa anche come funzionano le macchine di partito. E così, nel novembre 2017, poco prima della fine della passata legislatura, il senatore leghista lascia il gruppo della Lega Nord. Lo fa, per entrare successivamente nel gruppo Misto e fondare per l’appunto il raggruppamento della Lega per Salvini premier.
In più, Matteo Salvini ha creato nel tempo una struttura decentrata. Come riportato da Il Post lo scorso 15 settembre 2017, “Negli ultimi due anni il leader ha infatti creato le “Leghe Nazionali” nelle varie regioni, con loro bilanci autonomi, loro casse e loro conti correnti bancari. Tutto questo Salvini lo avrebbe fatto per distribuire sul territorio il patrimonio di via Bellerio, luogo dove si sarebbero consumati i reati di Bossi e Belsito”.
Questa struttura parallela potrebbe dunque essere lo stratagemma che risolverebbe i problemi giudiziari ed economici del partito di Salvini. Infatti, la confisca dei 48,9 milioni di euro penderebbe sulla vecchia Lega Nord che fu di Umberto Bossi e non sulla nuova Lega “nazionale”. Quei soldi andrebbero dunque chiesti a Bossi e alla vecchia Lega.
Parafrasando De Andrè (che fatalmente piace tanto a Salvini), “dai diamanti non nasce niente”. Ma un nuovo partito forse sì.
Articolo di Federico Gonzato