È la mattina del 14 Dicembre 2017, e aprendo Instagram trovo il mio feed invaso da una serie scatti (quarantacinque, per la precisione) dello stesso soggetto, nella stessa posizione, sotto lievi variazioni di flash e angolazione: una bottiglia di vino svuotata e poi riempita di mozziconi di sigaretta.
Viene spontaneo chiedersene la ragione, ma leggendo il nome dell’account che sovrasta ogni post questo istinto è altrettanto naturalmente represso.
Quando si parla dei Death Grips si menzionano le tematiche cupe e introspettive, i retroscena misteriosi, le atmosfere sonore corrosive e lisergiche e talvolta le simpatiche apparizioni pubbliche del frontman Stefan Burnett (in arte MC Ride); ciò che è dato di conoscere a un semplice utente Instagram ignaro dell’intero fenomeno, invece, è una serie di foto di una bottiglia piena di mozziconi. Quella, insieme a un paio di sneakers tagliate a strati e ricomposte male, sculture di pillole fuse, un diario tranciato in quattro che compone una croce, una mano che spinge gli stantuffi di tre flaconi di sapone e tante altre cose, molto meno chiaramente identificabili, tutte immortalate in modo casuale e disordinato.

Il batterista Zach Hill intento nella rivisitazione del selfie allo specchio.
Il brutto (dove per “brutto” si intende qualcosa di normalmente percepito come antiestetico e quindi, nella cultura del social, sbagliato) è sovrano anche nei video associati a molti pezzi significativi: citando emblematicamente il recente Giving Bad People Good Ideas, che vede protagonista una scarpa, e in modo analogo il nuovissimo Streaky in cui a una luce stroboscopica si accompagnano una pioggia di puntine?, bottoni?, e una mano che impasta sudiciume, si può risalire a riprese forse tematicamente più chiare ma rese illeggibili dagli effetti che vi sono sovrapposti, come nel caso di Takyon, o a primissimi piani di MC Ride che esasperano l’umanità contenuta nella smorfia, nel sudore, nel gonfiore delle vene, nello sguardo, fino a renderla insostenibile.
Parliamo di una rivoluzione dell’antigusto, di cui si può ipotizzare una naturale evoluzione nel successo del brutto “appetibile” -mi viene spontaneo pensare alla modella Jazelle Zanaughtti e al suo stile controverso dal largo seguito-, ma che nasce come un messaggio scorbutico e riottoso di cui i Death Grips sono tra i primi spontanei promotori: la dissacrazione di quella vita pubblica che tutti ci siamo abituati a mostrare, fatta di colazioni in pasticcerie raffinate, bimbi sorridenti, paesaggi mozzafiato, tutto condito da un’abbondante porzione di like, mi piace, approvo, è ciò che vorrei anche io. Nulla di nuovo, il consumismo. Ma tutto questo non trova spazio negli scenari bui di Sacramento in cui il gruppo si muove, così come nei momenti di naturale squallore che ci capita quotidianamente di vivere, lontani dagli occhi del social, perché non ci sentiamo invidiabili.

Jazelle Zanaughtti o @uglyworldwide.
L’inestetismo è il piedistallo di un messaggio più grande, che traspare nella live performance del trio attraverso l’unisono annaspare del pubblico dietro, sopra, dentro al beat lancinante e alla voce di Burnett, in un’esibizione nella quale il palcoscenico è solo un piccolo pezzo di suolo. C’è altro, che grida in modo ubiquo tutto intorno; ma questo non è il luogo per spiegarlo, né credo che ne esista uno. La relazionalità diretta tra artista e pubblico (interviste, immagine pubblica, riconoscimenti) è accuratamente negata, proprio perché non se ne coglie il senso se non in una chiave annichilente, che sminuisce il reale contenuto di quest’arte, quella che ci è presentata in lettura comune come musica, ma che ancora una volta trascende quest’immediata identificazione. Quasi a scardinare il semantico dal semiotico, per far crollare un’altra nostra convenzionale certezza. In parole povere, immergetevi o è impossibile conoscere.
L’assenza della spiegazione come intermediario tra l’opera e la sua fruizione si accompagna alla mancanza del “dolcificante” costituito dall’estetica, come fosse un invito, anzi una sfida, a prescindere da qualsiasi tipo di condizionamento e a dare ascolto esclusivamente all’istinto, nei suoi riverberi più inconsci: ma questa, come tutto quanto concerne i Death Grips, è solo un’interpretazione.
Articolo di Benedetta Di Taranto