“Ragazzi”- disse la maestra con un sorriso radioso – “oggi è l’ultimo giorno di scuola e ho deciso che vi interrogherò tutti, per l’ultima volta, prima delle vacanze estive”.
Il panico si diffuse tra i banchi, un brusio generale di disappunto si cominciò a percepire in lontananza, prima debole poi sempre più forte, impossibile rimanere indifferenti ad un tale colpo basso pensarono simultaneamente gli studenti della scuola elementare Giuseppe Ungaretti. La maestra, accortasi della erronea interpretazione data alle sue parole dagli studenti si apprestò velocemente a correggere il tiro.
“Ragazzi” – disse dopo un lungo sospiro – “mi avete frainteso, intendevo dire che volevo semplicemente fare una sorta di “gioco” dove ognuno di voi, il più sinceramente possibile, racconti alla classe cosa sia il suo sogno nel cassetto.”
Si levò dalla classe un coro di approvazione, il clima tornò ad essere immediatamente più disteso e sereno, tipico dell’ultimo giorno di scuola.
“Luca” – disse la maestra – “tu che sei un chiacchierone incallito, avrai l’onore di iniziare il giro di interviste. Maestra disse, il mio sogno sarebbe quello di avere l’ultimo I-phone 7, ho visto la pubblicità e sembra davvero una “figata”.”
Scorre il tempo e si susseguono le risposte, alcune sincere altre meno, alcune geniali altre estremamente banali.
“Mattia, manchi solo tu, cosa è la cosa che più desidereresti in questo momento?” Timidissimo, divenne subito rosso come un peperone e cominciò a muovere compulsivamente la gamba destra, un gesto che lo aiutava a scaricare la tensione insostenibile nel dover parlare davanti alla classe.
“Io” – disse con un filo di voce – “vorrei che la squadra per cui tifo vincesse la Coppa”. Esplosero in un fragore assordante decine di risate dei suoi compagni di classe, risate di scherno che si fusero in una presa in giro collettiva a lui indirizzata. La gamba cominciò a battere più velocemente sul pavimento, sembrava fosse impossibile fermarla, delle lacrime gonfie cominciarono a sgorgare dai suoi occhi rigandogli le guance rosse. Come si permettevano di prendere il giro il suo sogno pensava tra se e se Mattia, è il mio sogno e nessuno ha diritto di giudicare se sia bello o brutto. Mentre ripeteva a se stesso quelle frasi la rabbia cresceva dentro di lui, ogni secondo di più, fino a quando in un impeto improvviso scattò in piedi rovesciando la sedia al suolo e, raccolto tutto il suo coraggio, urlò in faccia ai suoi compagni che sì, il suo sogno era quello lì, vedere la sua squadra del cuore vincere quel trofeo. Ma il giovane studente non stava parlando di una coppa qualsiasi, quella coppa è la madre di tutte le coppe, è il desiderio nascosto di generazioni e generazioni di calciatori e con loro di tifosi, è la certificazione di essere riusciti dove pochissimi hanno avuto il privilegio di arrivare, è la Champions League signori e signore, la Coppa dei Campioni affettuosamente chiamata anche la coppa dalle “grandi orecchie”.
Mattia si sentì sollevato, aveva zittito quelle insopportabili risate e aveva ribadito al mondo che un giorno, anche se avesse dovuto aspettare tutta la vita, avrebbe contribuito insieme ad altri milioni di tifosi a spingere i colori da lui amati a stringersi attorno a quella buffa ma eterna coppa, che li avrebbe proiettati insieme nell’Olimpo del calcio, dove solo i grandi posso sedere.
Ma cosa succede quando quel sogno ti viene portato via? Quando il tuo desiderio più grande ti scivola via dalle mani in tre minuti, senza neanche darti il tempo di rendertene conto? Perché se è vero che il calcio ti da sempre una seconda possibilità (“c’è sempre un’altra stagione” cit.), non esiste un campione senza uno sconfitto.
È il lato crudele e meschino di questo gioco, al novantesimo sei in paradiso e al novantatreesimo sei all’inferno, prima avevi tutto e dopo più nulla. Forse è anche per questo che amiamo il calcio, la totale assenza nel suo DNA di una minima componente di prevedibilità lo innalza a sport più drammatico e al tempo stesso appassionante del mondo.
È proprio della dicotomia passione-dramma che si nutre una delle partite più incredibili da quando siamo stati onorati della possibilità di assistere a questo assurdo sport. Quale palcoscenico migliore se non la passerella europea, a fare da cornice ad uno dei più grandi drammi sportivi di tutti i tempi? Probabilmente un copione del genere non poteva che rimanere solo una fervida immaginazione, troppo crudele per pensare che si potesse davvero realizzare un finale così drammatico con annessa disperazione prima di un popolo e pochi secondi dopo dell’altro. Invece il calcio ancora una volta si dimostra un inesauribile laboratorio di colpi di scena, come un Dio capriccioso che ogni tanto, per spezzare la monotonia di una vita “perfetta”, decide di giocare con i sentimenti e le passioni dei suoi “discepoli”.
L’ultimo atto di questa tragedia shaksperiana si svolge a Barcellona il 26 Maggio del 1999. Anche qui le coincidenze non mancano, la partita che verrà poi etichettata come “del secolo” risulterà far calare il sipario su un intero millennio. Non male direbbe qualcuno, profetico direbbero i più romantici; di una cosa però possiamo essere certi, quella notte qualcuno ha vissuto il più grande incubo calcistico che sia mai stato pensato per questo sport.
Al Nou Camp va in scena la trentaquattresima finale di Coppa dei Campioni. Da un lato l’esuberanza della “generazione terribile” del Manchester United guidata dal leggendario allenatore scozzese Sir Alex Ferguson, dall’altro lato i “panzer” tedeschi guidati dall’imperscrutabile colonnello Ottmar Hitzfield. Già dalle prime luci dell’alba la città catalana era stata invasa da migliaia di tifosi giunti con ogni mezzo da tutta Europa per spingere i propri beniamini verso il sogno chiamato Champions League. Novantamila spettatori si apprestarono ad affollare le tribune di uno degli stadi più iconici del mondo, ognuno diverso dall’altro ma tutti uniti nella fede, quella calcistica, per i propri colori.
Ore 20.45, Pierluigi Collina (l’arbitro) fa cenno ai due portieri chiedendoli se sia tutto pronto per l’inizio, risposta affermativa, fischietto in bocca, inizia la finale.
Pronti via e pubblico tedesco subito in visibilio. Al sesto minuto una punizione calciata dal limite dell’area da Mario Basler sorprende sul suo palo un colpevole Schmeichel che è costretto a raccogliere la palla da in fondo la rete.
1-0 Bayern.
La partita finisce qui, almeno fino a quando non vengono segnalati i 3 minuti di recupero. Il riassunto dell’incontro è presto fatto: Manchester che attacca disordinatamente e Bayern che si difende con le unghie e con i denti, lottando su ogni pallone sospinti da un pubblico straordinario che non ha smesso mai di cantare ed incitare la squadra nonostante il caldo torrido e una tensione sempre crescente. Sono 23 anni che i bavaresi stanno aspettando di ritornare ai vertici del calcio mondiale, solamente i 3 minuti di extra time li separano dalla gloria.
Gli inglesi sono stremati, hanno già vinto la coppa nazionale e lo scudetto ma il prezzo da pagare è stato salatissimo in termini di tenuta atletica. Incitati da un pubblico a tratti commovente si riversano con immensa fatica nella metà campo tedesca cercando in tutti i modi lo spiraglio vincente. È dal 1968 che i Red Devils non aggiornano la loro bacheca con una nuova Champions League. Le energie vanno esaurendosi, le gambe si fanno pesanti, la lucidità comincia a venire meno ma sanno che non possono arrendersi, sanno che un’occasione del genere difficilmente potrà ricapitare nel breve periodo, non possono mollare proprio ora.
Il cronometro segna il novantesimo, Collina segnala 3 minuti di recupero, la tensione è ormai alle stelle, il telecronista tedesco riserva epiteti poco gentili al direttore di gara italiano, reo di aver dato un recupero assolutamente irragionevole.
Con la forza della disperazione un inesauribile Ryan Giggs conquista l’ennesimo calcio d’angolo della partita. I tifosi Inglesi con il volto coperto dalle mani in segno di disperazione, molti addirittura già in lacrime per una coppa sfumata sul più bello. Dall’altro lato i supporters tedeschi in balia del cronometro, stanno contando i secondi uno per uno, il cuore che batte fortissimo e la paura di non farcela.
Calcio d’angolo dicevamo, si avventura in area anche il portiere Schmeichel incitato come un ossesso dal mai domo Sir Alex. Mischia furiosa e palla allontanata malamente da un difensore appena fuori il limite dell’area, raccoglie Irwin che calcia debolmente verso la porta del Bayern. Quella palla sembra tutto fuorchè una reale minaccia ai sogni tedeschi ma, ecco che, come un falco, si avventa con le ultime energie rimaste Teddy Sheringham, forse il volto meno noto di quella squadra stellare, che con un girata precisissima spedisce la palla all’angolino basso.
Minuto 91: Bayern Monaco-Manchester United 1-1
Credo che quei secondi successivi al goal siano stati caratterizzati da un unico sentimento: incredulità. Tedeschi ammutoliti, quello che fino a pochi secondi prima era la realizzazione di un sogno lungo 23 anni si stava trasformando velocemente in un incubo senza fine.
Gli Inglesi, colti da un raptus di folle gioia, hanno capito che le sorti della partita erano quasi casualmente cambiate. Come indemoniati hanno cominciato a cantare, sventolare bandiere e ad accendere fumogeni, la curva dei tifosi dei Red Devils si trasformò nell’anticamera dell’inferno, urla disumane provenivano da un settore infuocato di passione, lacrime e gioia.
Quell’eccezionale turbinio di emozioni che si diffondevano come impazzite da un giocatore all’altro, da un tifoso all’altro non aveva ancora percepito che presto sarebbe diventato una vera e propria tempesta.
Ancora corner, ora sono i tedeschi che non hanno il coraggio di guardare mentre gli inglesi sperano nell’ennesimo miracolo che significherebbe vittoria.
Bechkam scodella in area un pallone quasi perfetto, deviazione di testa di Sheringham e palla che finisce sui piedi di Solskjiaer, attaccante entrato 10 minuti prima, che di punta anticipa il difensore e spedisce la palla agli incroci dei pali.
Minuto 93: Bayern Monaco-Manchester United 1-2

« Spuntai sul campo [per la premiazione, ndr] e rimasi confuso. Pensai: “Non è possibile, chi ha vinto sta piangendo e chi ha perso sta ballando”. (Lennart Johansson, presidente dell’UEFA, ricordando l’epilogo della finale.)
La disperazione dei bavaresi è resa benissimo dall’immagine di Kuffour, difensore centrale della compagine tedesca, accasciato al suolo in lacrime che non ha alcuna intenzione di alzarsi e giocare gli ultimi secondi della partita. Perfino Collina, avvicinatosi al giocatore per cercare di consolarlo e di ricordagli che il match non è finito, non è riuscito nell’intento di far rialzare il giocatore.
Si consuma così una delle pagine più incredibili della storia del calcio. Sono assolutamente certo che la finale di Coppa dei Campioni del 1999 rappresenti in toto che razza di anomalia sportiva sia il calcio.
Sognare non costa nulla si dice, ma quando davvero riesci a toccare con mano una cosa che hai follemente desiderato per anni e che, a dispetto degli anni impiegati per cercare di ottenerla, ti viene portata via in un lasso di tempo lungo come il recupero di una partita, allora capisci quanto sia crudele che tu ti sia innamorato di un “gioco” che ha tra le sue prerogative quella di “tormentare” emotivamente e, soprattutto senza alcuna logica, i nostri sentimenti.
Però se da un lato il calcio necessita sempre di un “tributo” emotivo non indifferente (come tutti gli sport) è altresì vero che la fiducia nelle sue prodigiosi capacità non si incrina, mai. Vi è come una “leggera” dose di masochismo tra i sostenitori di un club calcistico. I tifosi del Bayern avranno sicuramente pianto, sofferto, si saranno interrogati per anni su come possa essere successo di perdere una coppa dei campioni già vinta e molti ancora si interrogheranno negli anni a venire. Ma di questo sono sicuro, la loro fiducia e il loro amore per il “football” è rimasto immutato, anzi, probabilmente è addirittura aumentato. A settembre ci sarebbe stata una nuova stagione da affrontare e sarebbe stato imperdonabile abbandonare i propri “ragazzi” proprio nel momento del bisogno, loro che sono gli unici che possono realizzare i sogni di milioni di persone avranno ancora un’altra occasione, sospinti dall’entusiasmo di sempre e da una passione impossibile da distruggere.
Il calcio è un giudice giusto, crudele forse ma fondamentalmente equo. Il 23 Maggio 2001 il Bayern si ritroverà ancora una volta in finale, con gli stessi protagonisti di due anni prima, le stesse passioni, sentimenti e paure, ancora una volta tutti uniti per riprovarci insieme, ancora una volta a coronare un sogno chiamato Champions League. Ma questa cari lettori, è tutta un’altra storia.
Articolo di Mattia Catarina