Fermo restando che non mi sia fatta ancora un’idea chiara, ma proprio in virtù di questa ovvia presa di non posizione evoco le vostre care opinioni e idee (nella speranza di creare un bel dialogo).
A Bergamo, Torino, Milano, Bologna e persino a Forlì stanno aprendo delle palestre speciali. Come molti di voi avranno notato leggendo il primo articolo pubblicato, tratto la spinosa questione delle discriminazioni verso le donne e membri LGBTQIPKA in un’ottica intersezionale (oh cara e ben amata quarta ondata di femminismo) in vari aspetti sociali. Dunque, la tematica che vi propongo è “palestre per sole donne: si o no”.
Curves è un’azienda europea che sta diffondendo in tutto il continente palestre cui l’accesso è permesso alle sole donne. Sui social è esplosa la discussione sulla sensata o meno esistenza di luoghi del genere. Soprattutto nel mondo femminile c’è stata una forte scissione: contro il separazionismo e quelle invece a favore, in un’ottica di sicurezza personale. Buttate così, queste posizioni, vogliono dire ben poco, quindi vediamo di spolpare questi due punti di vista provenienti, per giunta, dalla stessa corrente di pensiero.
Partiamo in tanto nello spiegare di che cosa si tratta. Basta dare un’occhiata al sito ufficiale per capire la filosofia che ci sta dietro: “Pensato per le donne”, per poi leggere più in basso “Donne vere. Storie vere”. Questa frase fa da preludio a brevi storie di donne che ringraziano i poteri incredibili di tali luoghi, di come siano completamente cambiate (alcune affermano addirittura di non ricordare neppure come fossero prima!).
Mi sembra ovvio palesare la mia vena critica al riguardo, non tanto per la pensata (ovviamente apportare esperienze di altre che ce l’hanno fatto fa vendere maggiormente il prodotto), ma sull’effettiva realizzazione e sull’utilizzo di certe parole. “Vere donne”; Fatemi capire, le altre che cosa sono? Mezze donne perchè scelgono le palestre miste? A livello di femminismo intersezionale, questa espressione mi fa cadere le braccia. Soprattutto, perché si pone tutto in un’ottica negativa, come se prima di iscriversi al programma Curves, quelle donne fossero sbagliate. Posso anche capire che dietro a ciò ci sia una strategia di marketing per vendere, ma così strutturata mi fa venire il dubbio che abbiano sbagliato prodotto da mercificare o la filosofia di base.
Bene, scopriamo questo fantomatico programma Curves che fa miracoli.
L’interfaccia grafica a mio avviso apprezzabile è la seguente:
Vengono insomma riassunti con simpatiche iconografie i capisaldi del club (come tale si definiscono).
Il programma non è nulla di particolarmente innovativo. Si tratta di circuiti ideati per la persona ad hoc, seguiti da istruttrici e con l’aiuto di software che registrano le tue informazioni base (chi sarà il primo ad acclamare ai Big Data? Impaziente) e il tuo programma di trenta minuti predefinito. Niente di particolarmente rilevante o degno di nota che possa far sorridere o sossultare le care femministe svedesi. Una sola frase, in fondo alla pagina, in cui si racconta com’è nata l’idea e da chi, nel definire l’idea di partenza specifica “Il primo club ebbe successo, perché offriva alle donne un ambiente motivante e confortevole in cui allenarsi.”
Ed ecco che allora utilizzo tale locuzione per parlare dei due rami che si sono scissi dalla madre di tutte le madri: il femminismo. Come precedentemente menzionato, c’è una sezione che si dichiara totalmente contraria facendo riferimento al separazionismo che si adoperava in America durante l’Apartheid. Le motivazioni che nutrono queste femministe, le piu’ agguerite oserei affermare, sono ad esempio
“Assurdo! Vogliamo arrivare alla separazione dei sessi?? Se mi sento infastidita da qualcuno lo faccio presente ai responsabili di sala, non è tanto difficile”
oppure
“Magari una persona non si sente a proprio agio con un nero/omosessuale/metti tu quello che vuoi… perché così è meno insicura…” o ancora “Ma si, il prossimo passo quale sarà? Scuole maschili e scuole femminili? Torniamo indietro invece di andare avanti?”
per concludere con commenti che incitano al women empowerment
“o capisco bene il desiderio di fare palestra senza sguardi molesti, ma i problemi devono essere affrontati e questo mi sembra solo un modo per rimandarli… Separarci non risolve nulla.”
La posizione è pressappoco univoca: si tratta di segreggazione di genere, in cui si rischia di estromettere coloro che non si rivedono in questa separazione binaria (si pensi ai transgender o a tutti i non cis[1]) e soprattutto “ragazze fatevi forza e coraggio che scappando non si cambia nulla”. Possiamo argomentare i pro e i contro di tale posizione. In primis, la rievocazione frequente dell’Apartheid mi sembra assurdo ed eccessivo. Un po’ come quelli che urlavano alla tragedia e catastrofe subito dopo il voto del 4 marzo, quando in soldoni poco ancora è successo. Anche in tal caso mi pare esagerato parlare di segregazione, in quanto non vengono mietute vittime, nessuno rimane ferito e soprattutto non si tratta di un provvedimento legislativo. Bensì si traduce in una scelta personale. Le donne possono, liberamente, scegliere se iscriversi in una palestra per sole donne o mista, si tratta di pensare dove valga più la pena di spendere i soldi. Per quanto riguarda la valutazione che sta a monte della scelta mi dilungherò in seguito, in quanto coincide con le motivazioni che avanza l’altra corrente femminista. Secondo, concordo con l’argomentazione che vede l’esclusione di tutte quelle persone che non si identificano con un sesso, ma che hanno invece un’espressione di genere femminile. Nella pratica, nel momento dell’iscrizione, la gentile segretaria chiederà un documento d’identità: foto di un maschio ma io sono femmina (transgender M to F). Che si fa? Ti accetto comunque perché “fisicamente” sembri donna. A tale punto, mi aspetto l’ondata femminista che faccia tabula rasa di questi luoghi (il minimo). Oppure, ti rifiuto perché il sesso (da non confondere con il genere!) esplicitato sul documento è un altro rispetto a quello prevvisto dal regolamento per l’iscrizione regolare al club? In tal caso si dovrebbe, allora, parlare di omofobia o transfobia. Terza riflessione riguarda il concetto di “Women’s power” e il “devi urlare e non scappare”. Non posso che discostarmi da una tale ingiuria e ricordare che ci si trovi nella quarta ondata del femminismo, non più alla prima in cui si manifestava per avere il voto escludendo tre quarti delle donne. Il periodo attuale si basa sull’intersezionalità. Che cosa vuol dire “femminismo intersezionale”? Il sito online Bossy, che si occupa di queste tematiche, definisce cosi’ il termine “L’espressione è stata creata dell’accademica e attivista Kimberlé Williams Crenshaw per identificare il sovrapporsi di varie identità e dinamiche sociali. Forme di esclusione diverse – come il sessismo, il razzismo, la xenofobia, l’omofobia, la transfobia e chi più ne ha più ne metta – non si presentano come realtà separate nella vita di tutti i giorni, bensì come elementi interconnessi. È da questa presa di coscienza che il femminismo non è più solo la lotta della donna bianca per il suffragio femminile, ma diventa la battaglia di tutti verso una società più equa e inclusiva[2].”
Nella lotta non si è più solE, ma ci sono tuttE e tuttI, d’ogni età, etnia e chi più ne ha ne metta per così dire che “il mondo è bello perché è vario”. Dunque, sotto questa stella liberale mi vien allora da domandare a queste femministe così agguerrite “Come deve essere una donna per essere considerata tale?”. Perché se si parte dall’assunto che essendo donna e femminista, non puoi scegliere la “via più facile” e andare in palestre che escludano il “problema” (l’uomo), perché così facendo io (generico) mi vergogno d’essere donna. Molte femministe non hanno capito che per essere considerate come tali non bisogna per forza rientrare nei canoni della modalità “Pussy Riot” perché se no non sei degna d’esser chiamata Donna. Non funziona cosi’. Ad ognuno il suo e viva la libertà.
Ma veniamo ora all’altra posizione: pro palestre per sole donne. Qui le motivazioni convergono in una sola, più compatta e omogenea: vogliamo più sicurezza e tranquillità. Riassumendo tutto in un commento postato sotto la notizia di una nuova apertura in una città italiana: “le donne non si sentono fisicamente né sessualmente minacciate da altre donne perché, in generale, sono gli uomini ad essere violenti nel tentativo di “reclamare” le attenzioni e la disponibilità di una donna. La grande maggioranza delle donne lesbiche non ha atteggiamenti del genere, anche se prova attrazione per una donna vista in palestra. Non ce n’è, questo è davvero un problema maschile.”
In sintesi, troppi sguardi molesti dal gentil sesso che, spesso e volentieri, nella foga di ormoni può risultare un po’ troppo pressante e inopportuno creando nel sesso “debole” imbarazzo, disagio e vergogna. A tal proposito ognuno può portare la propria esperienza per confermare quest’idea ed ognuno avendo sensibilità diversa ha/avrebbe reagito in modo diverso e come più consumo per sé stesso (le vere Donne non scappano, lottano. Forza, attendo), ma mi domando: è davvero necessario arrivare al punto di creare delle palestre differenziate pur di far cambiare il concetto culturale del “no è no”? Non dovrebbe essere una questione di educazione e rispetto insegnati a scuola?
Per entrambe le posizioni ci sono i pro e i contro. Le palestre continuano ad aprire, tale che ve ne è una anche a Forlì (ASSURDO) e le donne che si iscrivono sono sempre di più. Il femminismo si basa sull’idea di eguaglianza e libertà. Dunque, Vivi e lascia Vivere. Entrambi i pensieri illustrati si basano su un concetto semplice: scelta. Ognuno è e deve sentirsi libero di scegliere quello che uno meglio crede. Dunque, donne care, volete iscrivervi ad una palestra per sole donne per evitare occhiate indiscrete? Vi prego fatelo. Non avete problemi con il vostro corpo tale da essere sicure da mandare a stendere un omaccione? Quelle miste vanno più che bene per voi.
La Vostra Femminista del mercoledì.
[1] Cisgender= qualcuno a proprio agio con il genere che gli è stato assegnato alla nascita. Definizioni semplice e per certi versi semplicistica, ma sufficiente per comprendere il contesto di cui si tratta.
[2] http://www.bossy.it/femminismo-intersezionale.html
Articolo di Giada Pasquettaz