Incidente.
Macchina che ne taglia un’altra.
Macchina che passa con il semaforo rosso.
Parcheggio a S.
Inversione di marcia ed incroci.
Inevitabilmente ad ascoltare o leggere uno di questi fatti, viene naturale dire «è una donna». D’altronde a questo pensiero si accosta armoniosamente, come l’archetto che armonizza le corde del violino, il detto “donna al volante, pericolo costante“. Una tendenza tipica – quasi stancante – dei detti popolari a sminuire sempre una categoria che fuoriesce dal classico canone, che a forza di ripetere esce dalle orecchie ma che a quanto pare non essere mai abbastanza. Le donne non vengono comprese nel modello – uomo, bianco, occidentale, con lavoro- di esistenza. Sono escluse, dunque una minoranza. Come la storia ben ci mostra e ci Insegna, le minoranze non sono mai ben volute dalla maggioranza (facendo uno sforzo epistemologico), anzi allontanate da quei luoghi in cui, invece, i più sguazzano. Come le urne. Fino al 1946 votare era considerata una dote intellettuale troppo acuta ed elevata per due suffragette che puntavano il loro tacco per terra.
Ritornando allora all’affermazione iniziale, le donne vengono emarginate, distanziate, da ogni qualsivoglia di interesse che abbia a che fare con motori ed ingranaggi. Non ci si limita a, erroneamente in ogni caso, allontanarle dalla conversazione. Non sarebbe sufficiente. Dunque, le si ghettizza, le si rende ridicole e minimizza le abilità.
Una donna che guida bene una macchina? Una interessata all’ingegneria meccanica? Una ragazza che la domenica guarda appassionatamente la Formula uno? IMPOSSIBILE.
Questa logica malata entra poi nelle menti di noi donne, e ci convinciamo davvero di questa mancanza, incapacità e banalmente lo dimostrano i numeri ridicoli di presenza femminile nei corsi di studi di ingegneria.
Nel 2016, l’Eurostat, come fa periodicamente, pubblica un report con vari indici e numeri poco appetibili. Alcuni però saltano più all’occhio di altri, quali i seguenti nei grafici:

Percentuali donne e uomini nelle facoltà umanistiche in Italia, Germania, Svezia e media Unione Europea.

Percentuali donne e uomini nelle facoltà di ingegneria in Italia, Germania, Svezia e media Unione Europea.
Come si notano dai numeri e dagli appositi paesi scelti, il gap tra un genere e l’altro sono importanti nelle due diverse facoltà. Ritengo rilevante prendere in considerazione dati che mostrano il prevalere degli uomini sulle donne nelle scienze, ma anche il contrario per sfatare anche un po’ il mito che solo le donne sono le vittime. Tuttavia, non possiamo metterci le mani davanti agli occhi e far finta che i dati sull’inferiorità della donna sian solo favolette che si raccontano al bar davanti ad una birra per farsi due risate o rompere il ghiaccio.
Piccolo step back, questo concetto di inferiorità di genere si fa forza, in Italia, di una grande tradizione di detti folkloristici. Analizzando però la società, è facile e anche un po’ banale renderci conto di come non si coltivi più con l’aratro, di come non ci sia più bisogno di una manovella per avere dell’elettricità e di come i treni abbiamo soppiantato i cavalli per gli spostamenti di lungo raggio. Insomma, la società è cambiata. Wow la scoperta dell’anno, molti di voi sicuramente e spocchiosamente avranno pensato. Avete ragione, come darvi torto, ma non è neppure il fulcro del discorso, quindi non vi esaltate eccessivamente. Prendendo per sodato il cambiamento sociale e dell’uomo Sapiens Sapiens non più Herectus, mi pongo (e la pongo a voi affabili lettori di Schegge) una questione: se la società è cambiata perché ci rifacciamo ancora a detti dell’800 e utilizziamo nel linguaggio immagini che risalgono alla preistoria? Abbiamo finito di evolverci a seguito dell’era dei Lumi o c’è ancora speranza che io smetta di sentirmi dire “donna al volante, pericolo costante” ogni qual volta un mio amico (o uomo in generale) entri nella mia macchina (se tutto va bene, con segno della croce a seguire)? Perché allora gli svedesi hanno sentito il bisogno di introdurre un nuovo pronome personale “hen” come soggetto “neutro”? Possiamo, ultima domanda poi la finisco, provare a cambiare una mentalità, modo di pensare e vedere le cose, attraverso la lingua?
In attesa di una risposta dal gentil sesso,
La Vostra femminista del mercoledì.